77ma Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2020) – In Concorso
Il sitar accompagna l'ipnotica melodia del raag, musica tradizionale indiana che non si limita ad intrattenere, ma addirittura "indica la strada per il divino". Protagonista è un aspirante cantante che vediamo partecipare a svariate competizioni, figlio di un musicista che l'ha instradato fin da piccolo alla passione per questo genere tradizionale.
Se Bollywood ci ha abituati ad associare il cinema indiano alla musica, questa poteva essere l'occasione di una nuova declinazione del binomio tra le sette note e la settima arte, magari da una prospettiva maggiormente d'autore, visto che il film è selezionato per il concorso in un festival prestigioso e che il genere musicale è più "serio" di quello che solitamente accompagna i balletti bollywoodiani.
Purtroppo invece "The Disciple" si candida con poche possibilità di sconfitta al premio per il più indigesto mattone di questa Mostra del Cinema di Venezia 2020.
La responsabilità è principalmente di una regia pedestre di Chaitanya Tamhane che sembra ignorare le basi della grammatica cinematografica. Fin da subito veniamo ammorbati dall'estrema ripetitività delle scene: esibizioni sempre uguali delle nenie del raag, inframmezzate da dialoghi che vertono solo e soltanto sulla musica, nessuna storia parallela da approfondire, il protagonista non sembra avere una personalità da raccontare al di fuori della musica e di occasionali masturbazioni notturne guardando materiale pornografico.
Non aiuta certamente una regia estremamente statica, più da video divulgativo più che da settima arte. lascia perplessi la fissità esasperante della MDP soprattutto nelle scene dei dialoghi, che quasi sempre il regista riprende da un punto fisso, in piano sequenza senza tagli di montaggio, spesso da un punto dove nemmeno di vedono bene i volti degli interlocutori. Non si capisce se sia pura pigrizia o una scelta stilistica di cui si fatica a comprendere l'intento, dato che il risultato è una carenza di ritmo che fa venire latte alle ginocchia, anche perché i dialoghi così mal inscenati sono pure mal scritti: insulsi e barbosi.
Peggio ancora, le esibizioni musicali, che costituiscono il fulcro della pellicola, sono anch'esse riprese in maniera statica, producendo un effetto da filmino amatoriale del saggio di musica della terza media, ammazzando il potere evocativo delle note invece di esaltarlo con la forza delle immagini.
Il colmo del trash è invece raggiunto dalle ricorrenti risibili riprese al ralenti delle corse in moto del protagonista, accompagnate dal blaterare enfatico della voce di una santona .
Seguono scene decontestualizzate come quando guarda con la nonna una sorta di X Factor industano o quando naviga su Facebook o YouTube per leggere i commenti si video delle sue esibizioni.
Insomma un film che non fa nulla per rendere interessante e stimolante il tema della musica raag per il pubblico che non la conosce, anzi riesce addirittura a farcela detestare, ammorbandoci con continui insistenti vocalizzi che mettono a dura prova le nostre orecchie e alla lunga anche altre parti più basse.
Rimane l'assoluto mistero di come questo mattonazzo sia stato selezionato per il concorso della Mostra del Cinema di Venezia.
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