Regia di Malgorzata Szumowska, Michal Englert vedi scheda film
Venezia77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Si dice che l'Europa sarà investita dall'ultima nevicata nel 2025. Dopo di che "Non ci sarà mai più la neve". Strano a dirsi viste le precipitazioni nevose così abbondanti, sulle Alpi nostrane, durante l'inverno che ci siamo lasciati alle spalle. Eppure i ghiacciai si sono ritirati e le nevi perenni soffrono la minaccia dei cambiamenti climatici. Quando ad inizio anni '90 iniziavo i miei campeggi estivi nella val di Sole il ghiacciaio della Presanella, splendido e imponente, dominava la valle, avviluppandosi nel suo massiccio candore. Vent'anni più tardi si sarebbe spezzato in due e avrebbe perso la purezza del bianco assumendo le tonalità grigie della roccia spoglia e della neve in poltiglia. La profezia dei meteorologi, dunque, potrebbe non distare troppo dalla realtà dei fatti.
"Never gonna snow again" di Malgorzata Szumowska (co-diretto da Michal Englert) non parla di ghiacci, montagne e nemmeno di previsioni del tempo eppure si conclude con una dolce nevicata che spolvera di bianco un ricco e perfetto "villaggio" polacco ai margini della capitale. Le case bianche e perfettamente allineate, il cancello all'entrata ed il guardiano in attesa tradiscono la condizione alto borghese dei suoi abitanti. Dietro la paventata perfezione si nascondono, tuttavia, le miserie dei ricchi: alcolismo, droga, superficialità. Malgorzata Szumowska e Michal Englert (anche sceneggiatori e produttori) sono tornati a raccontare i vizi della Polonia contemporanea cambiando, per la verità, il tono della loro denuncia rispetto al precedente "Mug". Lasciata da parte la caustica e velenosa denuncia di un popolino ipocrita e passivamente legato ad una nomenclatura cattolica incoerente ed aliena al messaggio evangelico, tradito dalla secolarizzazione, dal potere, e da una fede bigotta, i due registi hanno adottato un diverso approccio con il nuovo lavoro. Questa volta Szumowska e l'ex marito si rivolgono all'istruita e ricca borghesia polacca, libera dalle coercizioni clericali, almeno sembra, ma imprigionata nel suo stesso status di superiorità economica e sociale. La critica è più morbida, i toni più ironici ed i due registi sembrano divertirsi maggiormente rispetto al precedente film del 2018. In una Polonia, sempre più a destra, sempre più chiusa in se stessa, sempre più impaurita dalla diversità e lontana dal considerarsi territorio di immigrazione, Szumowska ed Englert scelgono un giovane ucraino, immigrato irregolare, per portare la neve in un ricco quartiere ricoperto dalla fredda temperatura dell'apparenza.
Nella fotografia luminosa di Michal Englert domina la luce bianca del giorno che inonda le case mentre Zhenia si prende cura delle anime e dei corpi dei facoltosi clienti. Bianchi sono l'intonaco delle case, le pareti e le asciugamani avvolte intorno ai corpi. Bianchi i capelli di Ewa, le mutande e la canotta di Zhenia, gli arredi, le tende. Celati dalla purezza esteriore si nascondono invidie, tradimenti, insicurezze, catene, paura della morte. Ma chi è Zhenia che parla tutte le lingue, stende le mani sui corpi riportando la serenità e con facilità si inventa mattatore di uno spettacolo scolastico? Donde arrivano i poteri taumaturgici del giovane uomo? Sono forse dovuti all'esplosione del reattore nucleare quand'era bambino? Nel momento in cui ci poniamo queste domande, apparentemente senza risposta, ci rendiamo conto che non è importante se Zhenia sia un pranoterapeuta, un angelo, un folletto magico della foresta profanata dalle radiazioni di Chernobyl. Ciò che conta sono i suoi gesti pacificatori, la sensibilità che riserva agli uomini e alle donne che assiste. Zhenia è lo straniero che insegna l'accoglienza e la condivisione seppellite da una coltre di ostentata ricchezza. Zhenia è la neve miracolosa, sempre più rara, nel vecchio e cristallizzato continente europeo, che porta "calore" ove regnano, invece, egoismo, abitudine, tedio.
Michal Englert è maestro nella cura della fotografia. Splendide la luce che entra nelle stanze buie (dell'anima) e la composizione fotografica di grande eleganza. Quest'ultima si contrappone alle scelte ben più azzardate di "Mug" in cui le focali avevano un peso specifico notevole nell'evocare l'estraneità di Szumowska dalla morale cattolica. Oniriche invece le sequenze girate nei verdi boschi ucraini mentre scende la cenere dell'esplosione radioattiva, scene che scaturiscono dalle visioni dei "pazienti" e che rimandano ad una "spiritualità "evaporata" con "l'esplosione" del materialismo occidentale, colpevole della corruzione polacca iniziata con la caduta dell'impero sovietico.
"Never gonna snow again" è senza dubbio l'oggetto più sibillino che sia caduto dal cielo veneziano. Complesso, difficile da decriptare, sovraccarico di simboli e tematiche, a volte solo abbozzate (la natura del protagonista, l'inquinamento ambientale), ma anche intrigante e visivamente appagante, il film si può riassumere nella corsa liberatoria dei due molossi risvegliati dal massaggio rigenerante di Zhenia che scelgono di andarsene dalla loro casa bianca, dal loro quartiere bianco e da tutte le schiavitù che un collare rappresenta.
Molto bravo il protagonista Alec Utgoff, a mio avviso scippato della Colpa Volpi di miglior attore dal "faviniano" "PadreNostro".
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