Regia di Kornél Mundruczó vedi scheda film
Questo succede quanto porti un regista pirotecnico e funambolico come Mundruzco negli Stati Uniti, dove gli attori sono effettivamente in grado di sostenere una cinepresa tanto assillante e oppressiva: succede Pieces of a Woman, che ti porta nel sogno genitoriale di una coppia per distruggertelo subito e lasciarti in tanti pezzi quanti sono quelli in cui finisce Vanessa Kirby. Sarebbe assurdo soprassedere su una regia che sembra non sappia stare al suo posto (in senso buono) e che avvolge e spezza e deframmenta i personaggi talmente ossessivamente che se stai vedendo un campo a figura intera allora davvero sta succedendo qualcosa. Le singole scene sono viaggi in squilibri familiari e sentimentali irracontabili, che stanno anche nella posizione dei personaggi in scena, e non si tratta di banali pedinamenti, ma del tentativo di scolpire un mélo su dei corpi che da anni in un mélo al cinema non vedevamo tanto al centro e tanto protagonisti come qui. I pochi eccessi (il parto in primo piano, il full frontal di Shia LaBeouf) appaiono talmente naturali e inevitabili che sembrano quasi paradossi nel contesto massimalista di una messa in scena che, programmaticamente ma ben venga, vuole amplificare sensazioni ed emozioni senza sottolineare ma costruendo sguardo dopo sguardo e parola dopo parola necessità e deragliamenti mentali dei suoi personaggi. Forse c’è qualche simbolo di troppo, forse il finale non ha il paradossale rigore del resto del film, ma nel film l’eccesso è una scelta necessaria, e forse non ha troppa importanza in che direzione vada. Un po’ come con la risonanza e le vibrazioni nel ponte Tacoma di LaBeouf: ogni corpo solido vibra per conto suo e in tante direzioni, ma se dall’esterno arrivano le oscillazioni giuste potrebbe anche esplodere. In tutto quanto c’è il potenziale eccessivo di un’esplosione, e che accada dipende solo da come siamo fatti e da cosa ci succede
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