Regia di Hilal Baydarov vedi scheda film
Venezia 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Davud e la sposa accostano a bordo strada, scendono dalla moto e si inoltrano in un campo velato da una densa nebbia. Ci sono due alberi: uno rinsecchito, uno ricoperto da una chioma rigonfia, entrambi nella parte sinistra dell'inquadratura. Davud non sa cosa fare e dove andare. Alla fine si stende in un luogo prospettico che sta giusto in mezzo ai due alberi. Gli uomini non sanno scernere tra la vita e la morte, non ne sono in grado per loro stessa natura. Non rifiutano la morte, di cui spesso sono crudeli portatori, e, al contempo, non sono attratti completamente da essa.
A quel punto la sposa si prostra al fianco di Davud dal lato dell'albero vivo. Le donne sono più vicine alla vita, di cui sono culla e nutrimento ma i comportamenti femminili sono condizionati dall'amore per gli uomini ai quali non sanno o non riescono sottrarsi.
Questa sequenza di straordinaria bellezza si erge, a mio avviso, a vessillo di una condizione femminile raccontata, nella sua opprimente subelternità, attraverso i molteplici episodi sparsi lungo l'arco filmico.
"In between dying" è un film affascinante che racconta, attraverso le esperienze di un "uomo" immaturo, lo status femminile, in un Azerbaijan sospeso tra modernità e tradizione. Donne incatenate agli uomini, donne che vivono nella loro ombra, spesso infelici, sono protagoniste della tragedia umana. Diretto dal poco noto regista Hilal Baydarov, che ha solleticato la sensibilità di Alberto Barbera ottenendo un posto nel concorso principale, il film ha posato, in realtà, la prima pietra della sua fortuna a monte, grazie all'illustre contributo di Carlos Reygadas e Danny Glover. Che dire... Mentre gli Stati Uniti ergono muri ai confini col Messico i grandi della cinematografia latina estendono le loro tentacolari ragnatele oltre le frontiere, entro le quali si vorrebbe fossero arginati, producendo giovani autori di grande interesse. E, in barba alla politica ufficiale, lo fanno insieme ai divi di Hollywood. Baydarov non è stato l'unico esempio del concorso n. 77 ad essere prodotto dai messicani. "The disciple" dell'indiano Chaitanya Tamhane era prodotto, infatti, da Alfonso Cuaron. La visione di questo secondo lavoro di fiction del regista azero lascia intendere che il contributo del "Cartello messicano" sia stato ampiamente ripagato e che la scelta di Raygadas di collaborare alla riuscita del film fosse ben motivata.
Il giovane Davud è, dunque, il filo conduttore che si srotola in un territorio selvaggio e deserto all'interno del quale le donne sopravvivono e soffrono. Attraverso i gesti, inizialmente sconsiderati, poi di virtù repleti, il giovane azero racconta un mondo sospeso in cui il progresso non sembra capace di scardinare le antiche consuetudini. Le inquadrature dei palazzi affastellati in città, effettuate da un punto panoramico privilegiato, cozzano con il paesaggio aspro e desolato della periferia montuosa. La dicotomia, apparentemente insanabile, tra città e campagna, tra tecnologia e natura, è ben sintetizzata negli elementi scenografici che chiarificano la discordanza tra gli aspetti antitetici di un paese diviso tra vecchio e nuovo. Ancora una scena costruita con elegante tocco fotografico esemplifica un concetto che va ripetendosi per tutto il film. Davud ferma la moto lungo una strada ponendosi al centro di un'inquadratura fissa nella quale si vede una chioma svettare nel cielo alla sinistra del giovane, mentre il ciclomotore rimane alla destra. L'uomo stesso è intercapedine e "trait d'union" tra universi destinati a non incontrarsi, qui rappresentati dall'albero e dal mezzo meccanico.
Come un pittore medioevale Baydarov si appoggia ad immagini pregne di significato per dipingere la propria tela. Gli alberi rappresentano la natura, le strade ricurve sono il percorso accidentato della vita mentre le sgangherate automobili che rincorrono il fuggitivo Davud sono allegoria del tempo passato a cercare il "nome della rosa".
Nella sua fuga Davud, che ha commesso un crimine per difendere una donna dalle volgarità degli uomini, inizia un'odissea che lo mette in contatto con un mondo atavico e crudele. Si rifugia in una stalla e scopre una ragazza incatenata dal padre da cinque anni. La libera e la ragazza trova in Davud il coraggio di ribellarsi all'oppressione paterna.
Fugge e si ferma sotto un albero dove una donna matura è seduta a guardare la propria vita passare. Davud la difende dal marito alcolista che la trova e la picchia. La donna sposata uccide il marito per ritrovare finalmente la propria dignità perduta.
Davud trova una sposa che scappa dal matrimonio. Non ama quell'uomo imposto da altri ma non può nemmeno sottrarsi al dovere. Il suo destino sembra scritto ma la ragazza prende in mano la propria vita e con drammatico gesto d'orgoglio la rende libera.
Davud si reca presso la casa della sposa per seppellire la madre vedova e povera a cui solo il matrimonio poteva risollevare le sorti.
Ai bordi della fossa c'è una ragazza cieca, la sorella della sposa, destinata alle cure dello zio dopo la morte della vecchia. Ancora una giovane costretta dal destino a porsi al servizio di un uomo e diventarne proprietà. Le donne azere appartengono ai padri, ai mariti, ai fratelli, agli zii ed infine ai figli come la madre del protagonista. Davud e la giovane cadono dalla moto lungo la strada. Il destino separa la ragazza, già schiava della malattia, dalla schiavitù dell'uomo. Il ragazzo ottiene, infine, ospitalità da una vedova che porta il velo nero della morte. Il marito è partito per la guerra e non ha più fatto ritorno. Da allora aspetta, sola, colui che imbracciò le armi nel Nagorno Karabakh della discordia. La schiavitù continua anche dopo la morte e trasforma l'esistenza stessa in un lungo trapasso. La donna compie un gesto d'umanità che le costa il disprezzo comune portandosi in casa un uomo diverso dal marito. Non è tuttavia in quel luogo che si conclude la storia del giovane. Spesso le storie finiscono nel punto d'origine. Davud torna nella propria casa, al capezzale della madre malata, consapevole che solo gli uomini possono contribuire ad una più equa civiltà donando rispetto anziché morte.
Come notato dagli sgherri che lo inseguono la scintillante falce del Tristo Mietitore segue il ragazzo. Eppure Davud non sempre è colpevole di ciò che gli accade intorno. Col tempo, anzi, i suoi gesti attingono nella misericordia. L'esperienza l'ha maturato mettendolo di fronte alle responsabilità del genere maschile ed ormai è pronto ad aprirsi all'amore vero, quello spesso immaginato nelle lunghe conversazioni con una moglie mai avuta, madre di un figlio mai generato. Sono belle ed ipnotiche le sequenze contenenti i monologhi di Davud e della sua futura sposa, sono dialoghi intensi e pieni d'amore, quel sentimento che ora il giovane ha affinato e ha portato con sé tra le braccia della madre morente. Disponibile al cambiamento, pronto ad aprire il cuore ad una donna, Davud può rendere tangibile il sogno di creare una vera famiglia. La vita gliene concederà una, magari in una bellissima campagna pascolata da superbi cavalli. Ancora un simbolo di libertà e saggezza, un animale capace, secondo le credenze, di svelare il destino dell'uomo.
"In between diyng è metafora del percorso che l'uomo deve percorrere per incontrare l'amore. E, come già affermato, da emblema della situazione femminile in Azerbaijan, si tramuta in lettera d'intenti per attraversare un cambiamento culturale che per forza di cosa passa dal maschio e dalla sua disponibilità a mutare atteggiamento verso la tradizione.
Luci fredde e filtrate dalla nebbia, uno studio meticoloso della composizione fotografica,
un caleidoscopio di immagini simboliche rendono il film di Baydarov un terreno stratificato in cui è naturale scavare alla ricerca di emozioni significanti depositate in profondità e pronte a disvelarsi agli occhi dell'acuto osservatore. Gioiellino e autore da tenere d'occhio.
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