Regia di Salvo Cuccia vedi scheda film
Ho intrapreso un simbolico viaggio a ritroso, alla riscoperta dei conflitti più importanti del XX secolo. L'ho concluso con la Grande Guerra, primo evento bellico di rilevanza mondiale che proiettò le sue cupe ombre sul secolo intero influenzandone gli avvenimenti e le ideologie.
Il nostro paese fu impegnato nel conflitto, sulle Alpi orientali, a partire dal 24 maggio 1915 fino alla notte del 3 novembre 1918. La guerra era già iniziata dal luglio del 1914 ma il Regno si schierò al fianco degli alleati dieci mesi più tardi secondo una tendenza, che avrebbe mantenuto anche nel successivo conflitto, di attese, calcoli e decisioni funzionali a minimizzare le perdite e massimizzare i risultati.
Il documentario di Salvo Cuccia dal titolo "Il soldato innamorato" racconta le gesta del milite Salvatore Cuccia, nonno del regista, partito da Villafrati, dall'assolata Sicilia, per combattere in Friuli Venezia Giulia e Veneto, fin dalla dichiarazione di Guerra agli imperi centrali del 23 maggio 1915. Cuccia trascrisse, negli anni '70, in un diario, le esperienze della Grande Guerra e della campagna istriana promossa dagli arditi d'annunziani, conclusasi nel 1920 con quei massimi risultati della vigilia ridotti ad una manciata di privilegi.
Le 40 pagine del manoscritto sono state trasformate in immagini da Salvo a perpetuo ricordo dell'avo e delle sue esperienze giovanili di combattente.
In "Arrivederci Saigon", primo di un trittico sulle guerre visionato recentemente, le gesta dei soldati americani impegnati nel conflitto vietnamita erano filtrate attraverso lo sguardo lontano delle giovani protagoniste, mentre ne "La lunga strada del ritorno" alla Seconda Guerra veniva resa testimonianza attraverso i ricordi reduci e le lacrime dei famigliari dei soldati deceduti. Nel documentario di Cuccia, invece, è il "soldato innamorato" il protagonista assoluto di un racconto di guerra che ci proietta sulle vette alpine e nelle trincee ricoperte di fango, neve e cadaveri. La voce roca e profonda dall'accento siculo, scorrendo le pagine ingiallite dei fogli protocollo legge i ricordi di luoghi devastati, di battaglie e di sensazioni intense e incontenibili. Il diario è la testimonianza del caos: quello dei detriti proiettati come lame affilate nei dintorni dello scoppio, quello dell'anima sconvolta dalla morte e dall'ansia dell'attesa. Il caos miete vittime e decide chi deve sopravvivere deviando un proiettile o lasciando immacolato il versante di una montagna dagli attacchi di artiglieria. Come soleva ripetere Tolstoj in "Guerra e Pace" la guerra è un sistema complesso di variabili incontrollabili che nemmeno il più grande stratega può illudersi di soggiogare. Una tempesta imprevista, un'epidemia di dissenteria o l'esuberanza di una moltitudine di soldati ben nutriti può decidere le sorti delle campagne belliche ancor prima di una decisione tattica presa sul tavolo di una tenda da campo. I pensieri di Salvatore Cuccia sono permeati della stessa lucidità dello scrittore russo. La sua però è saggezza contadina. Cuccia riconosce, a più riprese, che la vita è appesa ad un filo e così scrive che solo il caos, con i suoi strabilianti e incontrollabili effetti, gli impedì di morire quelle numerose volte in cui sembrava impossibile non cadere sul campo di battaglia. Nessun atto di eroismo, nessuna brillante decisione presa nell'ora più opportuna salvarono Cuccia ma solo il maledettissimo caos di bombe cadute altrove e di strade sbagliate imboccate nel momento giusto.
Un paio di volte i nipoti di Cuccia, percorsi da un brivido, si fermano a pensare alla loro storia, a quella della loro famiglia e al buco che si sarebbe formato se il nonno fosse morto sepolto dai detriti. Non avrebbe rimesso piede in Sicilia, non avrebbe sposato Maria e una volta cresciuti i figli non avrebbe messo mano alla penna per raccontare una storia di privazioni e sofferenza ma anche di momenti felici. Ed infine Salvo Cuccia non sarebbe regista senza il nonno che gli trasmise la passione gestendo la sala del paese ed un cinema itinerante che, di paese in paese, portava i sogni di celluloide nelle piazze della Sicilia.
Il documentario è arricchito delle rare immagini della Prima Guerra Mondiale gentilmente concesse dalla cineteca austriaca e da quella del Friuli e da alcune riprese aeree realizzate da Cuccia-nipote nella visita ai luoghi della guerra calpestati dal nonno. Si vedono ancora le trincee serpeggianti ormai ricoperte dalla vegetazione ormai non più minacciose, ergersi a ricordo e memoria. Il lavoro di Salvo è buono, forse una ventina di minuti sarebbero bastati per renderlo ancora migliore. Manca di contestualizzazione. La guerra del 15/18 si studia poco e pochi se la rammentano. Certo non ha bucato gli schermi come la seconda. Sarebbe stato opportuno ricollegare le pagine del diario, che annotano con precisione i nomi dei luoghi, con qualche cartina del territorio e qualche nozione sulle battaglie che videro impegnato il ragazzino di Villafrati.
Dopo l'inferno fece seguito quel momento di gaia spensieratezza vissuto in Istria a coltivare l'amore e dimenticare il caos tra le braccia di due belle ragazze altrettanto desiderose di dimenticare le privazioni di quegli anni così avari di desiderio e sentimenti.
RaiPlay
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