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Conference

Regia di Ivan I. Tverdovskiy vedi scheda film

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La recensione su Conference

di alan smithee
7 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2020 - GIORNATE DEGLI AUTORI
"Da quel giorno non sono mai più andata ad un concerto o ad uno spettacolo. Ho paura.
La paura è il nostro più grande peccato."
Una suora fa ritorno dopo anni a Mosca, perché promotrice di un incontro volto a riunire tutti coloro che hanno aderito all'incontro organizzato tra i superstiti del sanguinoso attentato che, nell'ottobre 2002, ebbe luogo nel tratro Dubrovka, gremito di pubblico, ad opera di separatisti ceceni.
Per la cronaca il fatto, quasi scomparso dalla memoria anche dei russi medesimi, si conclude con una improvvisa irruzione delle forze speciali che, armate di un gas chimico letale, fecero fuori 39 dei 40 terroristi, ma uccide altresì moltissimi ostaggi, in un numero che va dai 130 agli oltre 200, a seconda delle fonti.
Un disastro, insomma, un bagno di sangue.

La donna, nel partecipare all'incontro, viene in contatto con la sua famiglia, o quello che ne resta, con tutte le problematiche che ne derivano, e che si desumono dopo che i rapporti tesi, in particolare con la mite suora e la figlia, faranno emergere contrasti difficilmente riparabili, che il tempo e la distanza non hanno fatto che acuire.
Parallelamente riviviamo le esperienze shoccanti di quell'attentato devastante, che gli organizzatori intendono far rivivere con una sorta di rappresentazione, realistica ma anche grottesca, che raffiguri con dei pupazzi gonfiabili bianchi le vittime del massacro, mentre neri per rappresentare gli attentatori, ed invitando per questo i superstiti sopravvenuti, a posizionarsi nel medesimo posto occupato in quella tragica occasione.
Il film, opera seconda intensa e angosciante del regista Ivan I. Tverdovskiy, è da una parte un ruvido revival di una mattanza risolta nel peggiore dei modi, che non rinuncia ad una rappresentazione anche grottesca della tragedia, ove, per una volta, la platea diventa il vero, tragico palco della sanguinosa rappresentazione, mentre dall'altro sonda nel profondo il disagio definitivo ed insopprimibile che l'episodio ha generato nella superstite in particolare, spingendola ad un abbandono che segnerà altresì le vite e gli equilibri di tutti i suoi cari, generando esso stesso un effetto negativo comunque imputabile a quello stesso sciagurato attentato.
Certo il film evita in tutti i modi di mettere in discussione le modalità di intervento delle forze dell'ordine, che, impegnate a risolvere in fretta e furia la contesa, hanno adottato sistemi di risoluzione che, a conti fatti, si sono rivelati fallimentari e devastanti, sostituendo ogni eventuale azione di negoziazione, con un intervento di forza completamente indifferente ai cosiddetti "danni collaterali", rivelatisi devastanti.

Il film sceglie, certamente anche motivato da una prudenza ed una cautela che certamente in ambito occidentale avrebbero potuto essere decisamente vitate, di concentrarsi sulle conseguenze del tragico episodio sulla vita della persona presa in considerazione, facendo mettere in discussione una fuga da una realtà che, a priori, può risultare piuttosto comprensibile, ma molto meno se analizzata attraverso lo stato d'animo di chi, come il marito invalido della protagonista, o la problematica figlia ormai donna adulta, è stato costretto a subire, oltre che ai danni diretti od indiretti dell'attentato, anche quelli di una assenza pesante e non meno dolorosa o foriera di problematiche, pratiche e di principio.
Un film rigoroso, ben girato con le sue scelte non facili né scontate di concentrare parte del suo tempo a riprendere i lavori di preparazione della sala, che segnala il cineasta come uno dei nomi di maggior interesse da seguire tra i giovani autori dell'Est europeo. 

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