Regia di Marco Bechis vedi scheda film
Il cinema ha sempre tentato di raccontare l’orrore dell’oppressione perpetrata dai regimi totalitari: dal cinema sull’Olocausto, a quello sui problemi dell’Irlanda sottoposta all’ingerenza inglese sino ai khmer rossi, passando per mille altri conflitti problematiche sociopolitiche a volte ancora sotto gli occhi di tutti. In certi momenti ci si è quasi ritrovati di fronte ad una vera e propria spettacolarizzazione dell’orrore, volta per raggiungere il pubblico in maniera strappalacrime e retorica (cito soltanto due film “Oltre la Vittoria”, sui campi di sterminio, e “Safarinà – Il profumo della libertà”, con Whoopy Goldberg, sulla segregazione in Sudafrica). Questo “Garage Olimpo” è invece un film piccolo e (terribilmente) sincero, che colpisce duro perché asciutto e non ha paura di scavare nelle psicologie dei protagonisti senza dimenticare la Storia che li circonda. La vicenda di Maria, oltre ad essere paradigmatica, svela una rete di “retroscena” personali della prigionia oppressiva (che può essere di destra e di sinistra, indipendentemente), che spesso si dimentica: legami sentimentali ossessivi e improbabili (un pò del tipo che legava il Ralph Fiennes di “Schindler’s List” alla povera prigioniera ebrea interpretata da Beatrice Macola), la consapevolezza dell’orrore come costante della vita degli “oppressi”. È una testimonianza cupa e tragida di una realtà da film dell’orrore, propria di un noto paese del Sudamerica ricordato più spesso per Maradona che per altro. Bellissimo, coinvolgente, poetico.
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