Regia di Spike Lee vedi scheda film
Riprese dello spettacolo omonimo portato in scena nel 2019 da David Byrne, basato su sue canzoni.
Sul palco, pressoché privo di scenografie, ci sono solo 12 persone scalze e i loro strumenti: David Byrne e i suoi musicisti. Provenienti da ogni parte del mondo, bianchi e neri, uomini e donne, con una quota gender fluid rappresentata da un corista baffuto e truccato: signore e signori, questa è la world music, l'equivalente musicale del 'politicamente corretto'. O almeno questo pare essere il messaggio di fondo, sia pure recondito, di questo spettacolo, basato su canzoni che percorrono l'intera carriera di Byrne, discografia dei Talking Heads naturalmente compresa (verso il finale non possono mancare hits globali del calibro di Burning down the hous e Road to nowhere); in superficie invece American Utopia è a tutti gli effetti una sorta di musical sui buoni sentimenti, sulla tolleranza, sulla fratellanza, sulla parità di diritti, sull'ecologia, su un mondo migliore nel quale possiamo sperare solamente se quotidianamente ci impegniamo nel concreto tutti quanti, tu e io inclusi. Tutto condivisibile quanto scontato, con il rischio più che ovvio di generare l'effetto opposto a quello voluto e cioè il rigetto; una forma troppo ricercata, troppo studiata, e un messaggio troppo banale sono i limiti principali del lavoro, che per il resto è messo egregiamente in scena e raccontato con occhio da consumato professionista di regie teatrali – che in realtà nella sua lunga carriera non sono affatto mancate – da Spike Lee. 5,5/10.
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