Regia di Francesco Nuti vedi scheda film
C’è stato un periodo in cui, con la propria faccia tenera e sorniona, da fanciullone smaliziato, Francesco Nuti apparve come la sorpresa tutta toscana all’interno di un sottocapitolo della commedia italiana per il quale il compianto cinecritico Stefano Reggiani coniò l’espressione “stagione malincomica”. Sorpresa confermata da pellicole originali e molto riuscite come “Madonna che silenzio c’è stasera” o “Io, Chiara e lo Scuro”, tra le migliori di sempre dell’attore (e del suo regista, Maurizio Ponzi, mai più ripetutosi a questi livelli), senza trascurare l’esordio con “Ad ovest di Paperino”, al fianco dei Giancattivi.
In seguito, la vena comica di Francesco si è un po’ appannata dopo la scelta di dirigersi, e tanti critici gli hanno rimproverato come un certo compiacimento narcisista preponderasse sul suo humour surreale e trasognato. Anche rivedendole a distanza, commedie tipo “Casablanca Casablanca” o “Caruso Pascoski (di padre polacco)”, quest’ultimo il migliore tra i film diretti da Nuti, non meritano certo le stroncature che collezionarono all’epoca: si tratta, comunque, di operine d’un certo garbo, in alcune delle quali il comico di Prato inserisce quella vena intimista, permeata di bizzarro romanticismo, successivamente divenuta topos prediletto di molto cinema italiano dell’ultimo decennio. E se nel citato “Caruso Pascoski” l’autorattore coglie anche l’occasione per un personalissimo bilancio generazionale, in “Stregati” restituisce l’immagine di una Genova spettrale, livida e notturna dove “il resto – per dirla con Paolo Conte – è pioggia che ci bagna”.
Dopodiché, si può discutere finché si vuole della morale sciovinista di “Donne con le gonne”, dell’eccesso di presunzione in un film-monster quale “OcchioPinocchio” (a tutt’oggi, la débâcle artistica della sua carriera) o della ripetitività di temi che emerge ne “Il signor Quindicipalle” (sulla riuscita di “Caruso, zero in condotta”, è meglio stendere il pietoso velo): ma per quanto pletoriche, si tratta per la maggior parte di pellicole non antipatiche in cui già la presenza dell’interprete, la sua aura candida e sbarazzina – la medesima di trent’anni fa, anche se con qualche ruga in più – è motivo valido per rendercele simpatiche.
Passato quasi inosservato all’epoca, in realtà forse l’ultima cosa davvero riuscita di Francesco, “Io amo Andrea” rappresenta un percorso anomalo nella filmografia del Nostro: il tema del rapporto tra i sessi, già alla base di “Donne con le gonne”, è affrontato con un piglio che sembra quasi completamente lasciare da parte, se non addirittura prendere le distanze da quel genere di comicità di cui Nuti pure è stato un iniziatore per misurarsi con un discorso sul sociale, usi, costumi, mentalità e affetti a confronto facenti parte di un periodo sorprendentemente mutato. Discorso, in questo senso, aggiornamento di un modello – umoristico e cinematografico – che osa sperimentare rischiando contro i gusti di un pubblico, quello odierno, altrettanto cambiato: stando al nuovo avanzato nel frattempo, in verità abituato al toscanismo di modelli paratelevisivi meno vernacolari e più scoperchiatamente edificanti che spaziano da Pieraccioni a Panariello (fatta eccezione per il nichilismo ruspante, rabbioso, anarcoide di Ceccherini).
Negli anni Ottanta, anche Francesco Nuti è stato un asso pigliatutto, miniera d’incassi per una produzione che, come la stragrande parte dei casi, lo induceva a ripetere costantemente lo stesso canovaccio, sia pure in prodotti – quelli menzionati – assolutamente atipici. Poi, l’oblio seguìto da un tracollo esistenziale e una depressione senza precedenti, fatta di (troppe) bevute e sporadiche (più spesso imbarazzanti) apparizioni pubbliche in seguito alle quali l’autorattore, in men che non si dica, è stato tagliato fuori.
Per questo non si può non fare il tifo (anche) per lui e sperare nell’occasione del riscatto: non si dimentichi che un’interpretazione lontana dalle abituali corde come quella nel peraltro mediocre “Concorso di colpa”, thriller diretto da Claudio Fragasso, l’ha regalata. Non molto, d’accordo: ma è già qualcosa. Forza Francesco, come si fa a non volerti bene?
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