Regia di Curzio Malaparte vedi scheda film
Malaparte, noto (oltre che per La pelle) per il suo libro Maledetti toscani dette con Il Cristo proibito un film la cui tesi ha poco del maledettismo toscano che in realtà nel film si respira a pieni polmoni. Sarà che Curzio Malaparte, al secolo Kurt Suckert, era in realtà figlio di un tedesco e di una milanese, ma il senso di questo film è un appello alla riconciliazione dopo i massacri della guerra, di cui, come dice Bruno in una delle prime scene, siamo tutti colpevoli. L'unico senso da dare alla guerra è di andare e fare il proprio dovere, ma per portare la pace è necessario, come duemila anni fa, che un cristo assuma su di sé le colpe degli altri e muoia per esse.
Malaparte, comunque, gli umori toscani deve averli respirati a pieni polmoni, nei suoi anni trascorsi tra Prato e Firenze, perché nel delineare gli odi e i rancori postbellici del paesino senese in cui si svolge la vicenda, mi sembra di riconoscere i racconti sentiti tante volte dai vecchi del mio paese, sulle stragi dei tedeschi, i gesti nobili di chi resisteva e quelli meno nobili di chi si vendicava a freddo, le donne rapate per essere andate con i tedeschi, le requisizioni e le epurazioni. E risentimenti durati sessant'anni ed oltre. Fatta la tara di qualche eccesso melodrammatico, forse inevitabile per un prodotto intellettuale che intendeva rivolgersi anche alle masse, Il Cristo proibito di Malaparte è un film interessante ancora oggi.
All'epoca della sua uscita, il film fu stroncato, soprattutto da sinistra, a prescindere, per l'antipatia che suscitava l'autore, già stigmatizzato anni prima da Gramsci. Ma fu stroncato spesso senza vederlo e comunque senza parlare del film stesso: oggi si può vedere e se ne può parlare.
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