Regia di Jan De Bont vedi scheda film
Pessimo. Non posso parlare di una vera e propria delusione, dato che mi aspettavo non fosse un granché, ma è riuscito a essere peggiore e più scadente di quanto immaginassi. Ascriverlo fra gli horror è una grave offesa per il genere. Qui i pregi sono ridotti soltanto a due, ovvero: la bellezza esteriore del maniero, del paesaggio e delle scenografie negli interni; l'avvenenza fisica dell'attrice Catherine Zeta-Jones. Il residuo (che in pratica è quasi l'intero) è deprimente. Non so se i difetti fossero già congeniti nel romanzo d'ispirazione, The Haunting of Hill House, scritto da Shirley Jackson e noto in Italia sia come L'incubo di Hill House sia come La casa degli invasati, già adattato per il cinema nel 1963. Quel che è certo, almeno per quanto mi riguarda, è che questo risultato è insalvabile. Manco sforzandomi riesco a trovare una giustificazione a un tale festival delle vacuità.
La sceneggiatura, se così può essere definita, si abbandona ai cliché dei più mediocri fra i miserrimi esemplari di film della stessa categoria. Il testo è saturo di difetti, sino a essere (quasi) inservibile allo scopo prefissato. L'intreccio è tanto prevedibile quanto poco intrigante, talora troppo approssimativo, talaltra eccessivamente improbabile. Tensione non pervenuta. Men che meno paura. E si nota un'abbondanza incalcolabile di insulti alla ragione, rasentando sovente il patetico. Le motivazioni sono le medesime di tanti suoi consimili, riciclate senza variazioni sensibili sul tema, riassumibili in un semplice concetto: la comicità involontaria.
I protagonisti agiscono purtroppo contro natura e ogni logica umana, dimostrandosi di rado interessanti, per non dire irritanti in qualche frangente. Ma si può essere più ottusi? Capisco che in certe situazioni il cervello possa non funzionare a pieno regime, però a tutto c'è un limite. Non una sola azione del gruppo di malcapitati di turno è dettata da un briciolo di senno, dilapidando qualunque possibilità di sentirsi minimamente coinvolti ed emotivamente partecipi della loro sorte (agli interpreti non riesce il miracolo, ci mancherebbe). In questa maniera, regredendo addirittura a un livello di ridicolo assurdo (e non voluto, ovvio), non è affatto credibile. Ancor più triste è l'evidente pretesa di assumere e voler imprimere un tono serio e ansiogeno! Sorgerà invece spontaneo l' abbandonarsi alle ciniche, sadiche, macabre, sguaiate ma liberatorie risate.
Avrebbe potuto funzionare come "documentario" sulla selezione naturale delle specie, secondo la quale gli individui più inetti o deboli sono destinati a soccombere, se la regola generale non fosse come al solito immancabilmente sovvertita e tradita dallo scontato finale. Dunque si conferma desolante, sotto ogni punto di vista. Pure quello degli effetti speciali, per i quali affermare che sono invecchiati male è un eufemismo. A mio avviso non erano realistici e all'avanguardia nemmeno all'epoca.
La villa di Hill House si erge buia e minacciosa. Costruita dal magnate dell'industria tessile Hugh Crain per la moglie e i figli che non avrebbero mai avuto, la casa fu invece lo scenario di terribili tragedie. Nel corso del tempo i sinistri racconti di morte si moltiplicarono e la dimora rimase disabitata. Cento anni dopo il Dottor Marrow, affascinato dal terrificante alone che la circonda, vi riunisce tre giovani con la scusa di voler condurre uno studio sui disturbi del sonno: Theo, una donna di mondo spavalda solo in apparenza, il cinico Luke, primo fra tutti a sospettare chela ricerca abbia altri scopi, e Nell, la più sensitiva del gruppo.
Troppo infastidito dal resto, non ho prestato attenzione alle musiche di Jerry Goldsmith.
Sarò eccessivamente severo, ma cambierei pressoché tutto.
Questo è uno di quei casi a riprova che non è il suo mestiere, salvo un paio di titoli assai più fortunati.
Dr. David Marrow. Come rovinarsi una carriera, scadendo così in basso.
Theodora "Theo". Il mistero è come abbia potuto accettare un ruolo simile.
Eleanor "Nell" Vance. La sola che appare convinta di stare contribuendo a un "buon" lavoro.
Luke Sanderson. Un pesce fuor d'acqua.
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