Regia di David Fincher vedi scheda film
Fight club e' un manifesto nichilista su cui c'è scritto quanto pesano il disagio e l'alienazione sociale dell'uomo moderno. Il suo simbolo è il narratore (Ed Norton), affetto da un'ordinaria solitudine e che subisce il peso dei condizionamenti, delle regole e dell'omologazione. Una volta leggevamo pornografia, adesso arredo mania, una frase che certifica un ulteriore scadimento della ricerca di soddisfare pulsioni che vengono indotte dall'esterno e che si trasformano in necessità primarie, in nuovi bisogni indispensabili a cui ambire se ci si adegua ai valori e ai modelli che la società del consumo e del benessere impone. Il protagonista e' un ordinario perito di una assicurazione, che ricompensa il suo conformismo lavorando, consumando beni materiali, vestendo firmato, collezionando elementi di arredo ikea. Non basta pero' a mascherare la sua infelicità che non e' in grado di esprimere. Frequenta allora sotto false identità gruppi di ascolto con persone affette da gravi patologie nelle quali confonde il suo dolore. Quando incrocia Marla (Helena Bonham Carter) una ragazza che si comporta al suo stesso modo, la sua illusione non e' più sostenibile fino a quando non conoscerà Tyler Durden (Brad Pitt) che lo indurrà a liberarsi di tutte le sue costrizioni mentali. Prima regola del fight club, non parlare mai del fight club. Il film ha una struttura ellittica attraverso la quale possiamo seguire il percorso di decifrazione del disagio esistenziale di Norton che ha impedito la fuoriuscita della sua aggressività, che quando sarà manifesta si trasformerà in forza morale, in immaginazione, in capacita' di confronto e conoscenza dei propri istinti che ignorava di possedere ma che tramite una forte carica fisica emergono in lui. Tutto descritto con un ritmo avvincente, una narrazione in costante crescita condita da una buona dose di ironia che grazie a dialoghi taglienti e ficcanti veicolano l'attenzione verso i rapporti reciproci che legano i tre protagonisti principali. Fincher traduce in immagini il testo di C.Palahniuk che come usa fare la cultura americana traspone contenuti alti e significativi in linguaggio quotidiano tendente al gergo e allo svilimento linguistico. Fincher lo trasporta nell'ambientazione scenica, oscura, sporca e degradata, come le parti più nascoste dell'essere umano che non vuole guardarsi dentro. Il suo personaggio ha bisogno di un alter ego nel quale fare confluire la sua componente “cattiva” ma anche più indipendente. Seconda regola del fight club, non parlare mai del fight club. Lo sguardo d'insieme di Fincher è più rivolto al recupero dell'animalità di Pechimpah che ad idealizzare nuove teorie individualiste e assolutiste. La violenza fisica e morale che Norton libera ma che anche tocca con mano e subisce, lo porta a recuperare un sistema di valori che lo conduce da una parte ad una resa dei conti con se stesso ma che non scava così profondamente sui meccanismi narcisistici che lo hanno condotto dall'essere subalterno alla sua nuova realizzazione spirituale. Sembra il prezzo da pagare ad un prodotto mainstream rivolto a vaste platee che tuttavia risulta tutt’altro che banale e forzato. La surrealtà scenografica stimola la riflessione critica e sgonfia una possibile deriva ideologica, Fight club va interpretato in termini assolutamente individuali, come il frutto di esperienze fisiche ed emotive estreme indipendentemente dalle limitazioni sociali formative ed educative di ognuno nelle quali si tracciano i propri limiti e i propri confini morali.
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