Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Opera intensa, vibrante ed emozionante del grande maestro " Avati" Promossa a pieni voti la prova attoriale di Pozzetto, per la prima volta in un ruolo drammatico.
"Alla vigilia del cambiamento della sua vita la giovane Caterina scrisse una lettera al suo futuro sposo, gli prometteva che dandosi infinito e reciproco amore sarebbero stati immortali in tutti i luoghi e tutte le stagioni". Così la voce narrante fuori campo nell’incipit, per poi insinuarsi nelle pieghe del racconto, quello che riguarda sessantacinque anni della vita di Nino e Caterina, fino alla dipartita di lei. Avati con piglio malinconico ma evitando stucchevole retorica, racconta del vuoto, lasciato da Caterina Cavallini nella vita di Giuseppe Sgarbi, suo amato marito. Pupi Avati prende spunto dal racconto della loro lunga e intensa storia d’amore, che dopo la sua morte lo stesso Sgarbi interpretato da uno strepitoso Renato Pozzetto, cominciò a scrivere con la collaborazione di un ghost writer romano.
Il film indugia soprattutto sulla situazione che portò alla stesura del libro. Alla morte di Caterina, alias Stefania Sandrelli, affettuosamente chiamata Rina, la figlia compassionevole, per aiutare il padre Nino a elaborare il profondo lutto, chiese a un aspirante romanziere, di collaborare con il padre, raccogliendo le sue confidenze, a scrivere un libro su quell'amore Inizialmente motivato solo da motivi pecuniari. Amicangelo divorziato e in bolletta, accetta suo malgrado, ma poi si lascia favorevolmente sorprendere e conquistare dal mondo di Nino,ex farmacista di paese, uomo di sani e saldi principi,con le sue memorie,i sentimenti e un insanabile senso di vuoto, che riempie parlando ancora di e con Rina. Il rapporto tra i due cominciato col piede sbagliato, a mano a mano, si intensifica, si rafforza e si traduce alla fine in amicizia affettuosa. Il film si sviluppa srotolando il filo dei ricordi, evocati attraverso i flashback, che Nino, con Pozzetto al suo debutto in un ruolo drammatico, colora con la disarmante tenacia di chi non si arrende all'assenza e a consegnare all'oblio la tenerezza della sua Caterina, i suoi baci, i valzer in un bar di paese, o le serate trascorse a guardare film nella piccola arena di provincia. Bella celebrazione del sentimento dell’amore, quello che non finisce, eterno che va oltre la morte e anche una generosa citazione della settima arte, che immortala gli istanti e universalizza le storie. In un viaggio della memoria lungo 65 anni e dispiegato su varie linee temporali, Avati coglie l'essenza di una vita trascorsa insieme, partendo dal tramonto di quell'esistenza condivisa, per tornare con il ricordo intriso di romanticismo, all’alba di queste vite.
Questo film, degno di un palmares ricco di David e Nastri, è stato liberamente tratto dall'omonimo libro di Giuseppe, papà di Elisabetta, direttrice editoriale della “La nave di Teseo” e del critico d'arte Vittorio. Nel confronto generazionale, prima ruvido poi sempre più tenero, tra Giuseppe e il giovane ghost-writer, si sviluppa la storia che si può sintetizzare nella frase che lo scrittore a un certo punto rivolge al vecchio Nino: "Lei è la persona più distante da me che io abbia incontrato". Il film è un'opera notevole, che regala momenti di nostalgia e delizioso romanticismo, forse la più intima e personale del regista bolognese, storia equilibrata e di rara grazia e delicatezza. L'ambientazione è la Bassa Padana, quello che Avati definisce "un luogo dell'anima", tra lo scivolare lento del Po e gli echi degli amori cantati da vecchi giradischi; la location è un'enorme casa di campagna, che racconta di vecchie storie e custodisce cimeli preziosi e capolavori dell'arte di tutte le epoche, frutto di anni di collezionismo; dice il regista: "Può essere considerata una storia d'amore anacronistica oggi per la sua durata ma quello che m'interessava approfondire era non tanto il contenuto del libro, quanto il rapporto tra lo scrittore, con un matrimonio alle spalle di tre anni e una figlia che vive con l'ex moglie, e il vecchio vedovo”.
Raffinata citazione di Cesare Pavese tratta dai Dialoghi con Leucò: "L'uomo mortale, non ha che questo d'immortale :Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.
Il regista emiliano riesce ad emozionare ancora. A due anni di distanza da “Il signor diavolo”, il grande autore bolognese ritorna ad atmosfere sospese tra realismo e sogno per ripercorrere sensazioni del cinema Bergmaniano, citato nelle immagini de “Il settimo sigillo” proiettato in un’arena estiva ma anche, seguendo, passaggi tratti da “ Il posto delle fragole.”
Insieme, Nino e Amicangelo scrivono il libro su questa immensa storia d'amore, che il protagonista continua a rivivere incessantemente attraverso il ricordo e Avati scandaglia dentro a entrambi in una costante dialettica tra presente e passato.
Un'opera lucida ed emotivamente coinvolgente, Pupi Avati stupisce con un cambio di rotta improvviso dopo il penultimo lavoro horror regala al cinema italiano un film intenso e vibrante; Nino e Caterina sono interpretati con passione e convinzione dalle coppie Renato Pozzetto/Lino Musella e Stefania Sandrelli/Isabella Ragonese, in un arco temporale di quasi settant'anni: un'opera lucidissima, struggente e viva nonostante sia circondata dalla morte, il lavoro di un cineasta colto e abile, che sa sempre come fare cinema.
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