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S.O.S. Summer of Sam. Panico a New York

Regia di Spike Lee vedi scheda film

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La recensione su S.O.S. Summer of Sam. Panico a New York

di cheftony
7 stelle

 

Sei un cane della società, amico! Sei tenuto al guinzaglio da un certo modo di pensare, non te ne accorgi neanche!”
“Ritchie, i-i-io non capisco proprio un cazzo di quello che stai dicendo! Io non ho nulla a che fare con queste cazzate, ok? Mi sa che il caldo ti ha dato alla testa!”

No, no, senti… È come se noi avessimo una doppia personalità, Vinny. Due personalità, quella con cui vieni al mondo e quella imposta dalla società.”

 

 

Bronx, New York, afosa estate del 1977: il nocciolo giovane della comunità italo-americana cerca di spassarsela vivendo al massimo la vita notturna, fra danze, cocktail e scappatelle; Vinny (John Leguizamo), giovane parrucchiere, ne è il massimo interprete, infedelmente innamorato della moglie Dionna (Mira Sorvino), del cui ruolo ha una visione morbosamente routinaria e diseccitante.

Il miglior amico di Vinny è Ritchie (Adrien Brody), ragazzotto piuttosto malvisto nel quartiere da quando ha subìto la pesante influenza proto-punk degli Who e di tutto il movimento underground inglese, tant'è che, con chitarra a tracolla, capelli acconciati a liberty spikes e magliette con la Union flag, sfoggia per il Bronx un deriso accento inglese; d'altronde, nel 1977 negli Stati Uniti non hanno ancora attecchito nemmeno i Clash e i Sex Pistols e giusto giusto alcuni gruppi statunitensi, come gli sporchissimi Germs o i più “zuccherosi” Ramones, si esibivano nei locali della subcultura punk.

Gli italo-americani, più dediti allo spaccio e a fomentare risse fra una sigaretta e l'altra, sono completamente fuori da queste dinamiche, ma provano ad ergersi a paladini del distretto: capitanati dal violento Joey (Michael Rispoli), cercano di arginare a modo loro l'imperversare del serial killer che si firma Son of Sam (Michael Badalucco), uno schizofrenico paranoide che uccide a colpi di calibro 44 coppiette appartate o donne dai capelli lunghi e scuri.

Ad un certo punto, i sospetti di Joey e compagni si concentrano su Ritchie, ormai estraniato persino da Vinny, a sua volta alle prese con una tremenda crisi personale e psicosessuale…

 

 

Ideato da tali Victor Colicchio e Michael Imperioli e rivisto da Spike Lee, “Summer of Sam” è un'altra dichiarazione d'amore-odio per la città di New York dopo “Fa' la cosa giusta”, con il fulcro che si sposta dalla multietnica Bedford-Stuyvesant di Brooklyn al Bronx e al Queens. Evento di rara portata per Lee, il fuoco non è puntato sugli afroamericani, presenti solo in un'occasione e per di più messi in cattiva luce, in quanto protagonisti di saccheggi e vandalismi durante una notte di blackout.

I personaggi centrali sono italo-americani (nonostante Leguizamo sia palesemente ispanico), ma il conflitto razziale non viene mai toccato in “Summer of Sam”: a caratterizzare la folle estate newyorkese del 1977 non fu solo la psicosi dell'assassino poi individuato in David Berkowitz, ma anche intolleranza, paura del diverso, inadattabilità al contesto sociale, famiglie disfunzionali, rapporti di coppia e inconciliabilità fra la sessualità pubblica e privata (emblematici i personaggi di Vinny e Ritchie). La scelta quantomeno balzana, nonché forse poco ripagata, di trattare le vicende di Son of Sam lasciandole sullo sfondo conferisce uno strano tono di infinita sospensione del pathos al film.

Con una regia sicura, ricca di piani sequenza e di qualche fastidiosa pacchianata delle sue, Spike Lee dirige in maniera eccellente fin dall'inizio, salvo poi far registrare un calo di ritmo nella seconda parte: proprio quando il film sembrerebbe sul punto di esplodere, si palesa l'incertezza sulla direzione da prendere, fra le varie storie personali dei vari personaggi, la costruzione di un'opera di impatto sociale e la suggestiva, onirica rievocazione dei disturbi di David Berkowitz. L'ormai maturo Lee, presente in un cameo nei panni di un reporter televisivo con la capigliatura afro, è impossibile da costringere alla concisione e sembra sentirsi in dovere di infarcire spropositatamente la sua opera filmica, che risulta inevitabilmente poco centrata e scade, ad esempio, in una scena orgiastica troppo “videoclippara” per generare vera tensione drammatica o erotica.

Da segnalare una colonna sonora ben studiata: in successione abbiamo “Baba O'Riley” degli Who e “Psycho Killer” dei Talking Heads ad intervallare un sacco di musica dance, fra Chic, Grace Jones e ABBA. Ottimi diversi interpreti, in particolare Brody e Leguizamo, ma anche una tormentata Mira Sorvino, piuttosto azzeccati molti caratteristi, con LaPaglia e Gazzara solite garanzie. La fotografia di Ellen Kuras è buona, accesa e sgargiante, ma si sente il confronto (perso) con il lavoro di Dickerson in “Fa' la cosa giusta”.

Film di successo commerciale scarso e modesto di critica, meritatamente molto rivalutato negli anni nonostante alcuni evidenti difetti, merita una visione.

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