Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Nel mondo virtuale si può giocare con la propria identità fino a farla scomparire del tutto. Con la nostra personalità sparisce anche, facendosi sempre più leggera e intangibile, la tecnologia. Ognuno diventa infatti l’hardware di sé stesso collegandosi direttamente alla situazione che vuole giocare. Annullare la distanza tra organico e inorganico significa avere un’ esperienza intima dello spappolamento identitario. Se il mezzo siamo noi il messaggio è che ci stiamo decomponendo, stiamo rendendo sempre più possibili i comportamenti freddi e indecifrabili dei videogame. La biologia funzionale vince sulla filosofia morale quando non ci si chiede più perché si fanno le cose ma si fanno. Dobbiamo solo trovare la frase corretta per entrare in comunicazione con gli altri personaggi, per arrivare prima possibile allo scenario successivo. Pensare allo scopo del gioco è inutile e dannoso alle azioni che il personaggio deve compiere. Nessun appiglio logico è concesso nella estrema liquidità dello sfondo che muta iterativamente. La narrazione non può che essere frammentata e mai lineare dove l’allucinatorio e l’onirico vengono compresi nel soggetto-oggetto ludico. La mutazione è avvenuta, l’organico cerca di recuperare sulla realtà sporcando la grafica asettica dei vari quadri del gioco. L’inorganico è sparito entrando dentro di noi con un infezione etica che ci ha programmato la testa senza libero arbitrio. Il realismo è morto, il gioco è sempre vivo, perché non può finire senza prima ricominciare. Uno dei film profetici del canadese , dove nella semplicità apparente del giocare c’è la complessità dello squagliarsi dell’individuo post-moderno.
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