Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film
Il magistrale, densissimo ed appassionato docudramma alla Ken Loach firmato da un Tavernier in stato di grazia non è un pamphlet enfatico, didascalico, sentenzioso e schierato. E' un resoconto lucidissimo, illuminante, oggettivo, incisivo, carico di amarezza e di rabbia sul drammatico stato delle cose: ad un certo punto la puericultrice sbotta con il furente Daniel: "Non è legale, solo che tutti se ne fregano!" Sarebbe troppo facile, approssimativo e presuntuoso liquidare il film come il ritratto di una realtà lontana, che - ancora - non ci appartiene. Ed è troppo semplicistico risolvere il problema come suggerisce il collega di Daniel, per il quale, rifacendosi alla curva di Gauss, non è opportuno occuparsi della fascia dei più disagiati, per cui non c'è più niente da fare, ma della fascia nel mezzo: "loro puoi ancora salvarli". Sarebbe come nascondere la polvere sotto al tappeto ed infatti Daniel afferma risentito: "Sì certo la metà la buttiamo nel cesso e con il resto cerchiamo di capire cosa fare. Solo che il cesso ci esploderà in faccia perché non ce la fa a contenerli tutti!" Tavernier mostra e non dimostra, evita giudizi affrettati e unilaterali, ben consapevole che i mali di una società non sono riconducibili a pochi colpevoli. Osserva con sguardo attento, sobrio, acuto ed onesto, preoccupato, anche scandalizzato ma non demoralizzato o passivo, con spirito polemico e combattivo certo, ma non militante o livoroso. Senza lamentosi e rassegnati piagnistei, ricattatori e retorici sentimentalismi o spicciole indignazioni, anzi condendo il tutto con il sorriso, con una sottile ma salutare ironia. La mobile e vivida cinepresa a mano del regista, anche sceneggiatore con la figlia Tiffany ed il genero Dominique Sampiero, scrittore ed insegnante, nella scuola materna di Derrière les Haies a Anzin, dove sono state effettuate le riprese, entra nella scuola, ne coglie la felice quotidianità (le lezioni in classe tra canti, giochi, i primi apprendimenti, la gioiosa ricreazione in cortile, i collegi docenti, la lezione sul funzionamento del camion tenuta dal papà di Laetitia di fronte ai bimbi curiosi, partecipi ed entusiasti, l'arrivo dei genitori e/o dei nonni a prendere i loro piccoli) non ne nasconde però l'enorme complessità (i colloqui privati, spesso critici e delicati, con mamma e papà, i problemi burocratici, la crisi economica che si ripercuote sulla gestione scolastica). Tavernier non fa sconti per nessuno (insegnanti, politici, genitori, assistenti sociali, ispettori ed anche l'eroico protagonista, "un Don Chisciotte, solo più consapevole dei limiti del proprio idealismo" - Enrico Danesi - cui uno straordinario Phillipe Torreton conferisce una vibrante autenticità ed una coinvolgente passione, ha i suoi bei problemi familiari - dal rapporto irrisolto con il padre all'estrema fatica nel relazionarsi con l'ostinato ed irrequieto Remi e non riesce ad evitare la tragedia della famiglia Henry), si affida con fiducia, forse anche con ingenuità, all'innocenza, all'entusiasmo ed alla trasparenza dei bambini, perché "loro non ti chiedono di occuparti del sociale, ti chiedono di ascoltarli, di guardarli." (splendida in questo senso l'ultima immagine in soggettiva con il primo piano di diversi bimbi che salutano affettuosamente il protagonista). La speranza per il futuro si ripone tutta in loro: questo è probabilmente il significato della grande e, senza dubbio, fin troppo zuccherosa festa, con tanto di banda che suona, organizzata dalla scuola con la loro indispensabile e gioiosa collaborazione. Un ottimismo dai più criticato e sbertucciato, ma in realtà doveroso: attraverso il coinvolgimento diretto, i bambini possono iniziare a capire cosa sia un mestiere e si può forse in questo modo anche ridurre il rischio che si trovino, come i loro genitori, paralizzati davanti alla tv finendo per chiamare magari i propri figli Starsky e Hutch. Dai bambini si deve allora necessariamente ripartire per sollevare quel mucchio di pietre accumulate ad una ad una, per evitare che le parole servano loro solo "per dire ho fame, ho sete, ho freddo. Per sopravvivere.". "Ça commence aujourd'hui" (letteralmente "ciò comincia oggi") recita, non a caso, il titolo originale di un'opera commovente, dal valore morale altissimo (ben più pregnante del successivo, fortunato, "Essere e avere" di Nicolas Philibert), nel cui incipit è già magnificamente sintetizzato il forte, toccante e condivisibile monito. Così infatti all'inizio parla Daniel: "La durata di un racconto è come la durata di un sogno. Non si decide né il momento in cui ci si addormenta né quello in cui ci si sveglia. Eppure si va avanti. Si prosegue. Si vorrebbe fare un gesto, toccare il personaggio, avere delle attenzioni per lui, prenderlo per mano, ad esempio. E invece si sta lì, senza fare niente. La vita sarà passata e noi non avremo fatto niente." Evitiamo che la vita passi senza avere fatto niente: sarebbe imperdonabile. I bimbi sono il futuro della società, ma hanno bisogno dell'aiuto, dell'insegnamento, dell'appoggio, delle attenzioni e dell'amore degli adulti. Nel nostro piccolo, senza dover essere né "un sovversivo né un vescovo anglicano" dobbiamo almeno questo ai nostri figli: "per restare in piedi. Per inventarsi delle montagne e giocare con la slitta. E credere di avere raggiunto le stelle." Uno di quei rarissimi film di oggi da far obbligatoriamente vedere non solo nelle scuole ma soprattutto nei ministeri dell'Istruzione. François Truffaut, cineasta dell'infanzia per antonomasia, ne sarebbe stato oltremodo orgoglioso. In Concorso al Festival di Berlino del 1999, dove Tavernier aveva già vinto l'Orso d'oro nel 1995 con "L'esca", ha ottenuto il premio della Giuria Ecumenica, il premio Fipresci e una menzione speciale per il regista. Premiato al Festival di San Sebastian. Nomination ai César e agli European Awards per il magistrale Torreton, capace di farti credere sullo schermo di avere fatto il maestro per tutta la vita. Prodotto da Alain Sarde, tra i cui successi spiccano "Il pianista", "Il segreto di Vera Drake" e "Mulholland drive". Quasi 1 milione di spettatori in Francia. In Italia, come è ovvio, praticamente invisibile.
Voto: 8 e mezzo
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