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Il Sabba

Regia di Pablo Agüero vedi scheda film

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La recensione su Il Sabba

di mck
8 stelle

Fucina di potere temporale / Un unico abominio clericale / Delirio onnipotente, dominio che sovrasta / Efficienza d'inetto, burocratica casta / Potenza del pesante / Preme, compatta, schiaccia.

 

Le benandanti (senza apostasia, né confortorio, né conversione).

 

 

Da “Haxan” (la Stregoneria Attraverso i Secoli) di Benjamin Christensen del 1922 ad “Hagazussa” di Lukas Feigelfeld del 2017, passando per “la Visione del Sabba” di Marco Bellocchio del 1988, “Storia Notturna - una Decifrazione del Sabba” di Carlo Ginzburg (autore anche de “il Formaggio e i Vermi”, da cui Alberto Fasulo nel 2018 ha tratto il suo “Menocchio”) del 1989, “Gostanza da Libbiano” di Paolo Benvenuti del 2000, “Sangue del Mio Sangue”, ancora di Bellocchio, del 2015 e “the VVitch - a New England FolkTale” di Robert Eggers, sempre del 2015, con un pensiero anche a “Strasbourg 1518” di Jonathan Glazer del 2021, che – “aggiornandola” e giustapponendola alla COViD-19 del SARS-CoV-2 – si riferisce alla piaga/epidemia del ballo tarantolato che si manifestò nell’estate di quell’anno nell’attuale capoluogo dell’Alsazia, allora parte del Sacro Romano Impero, e che viene espressamente e letteralmente citata in questo “Akelarre” [ovvero “sabba” (patto rituale col diavolo) in lingua basca di Biscaglia e Navarra: Bilbao, Pamplona, San Sebastiàn...] di Pablo Agüero (scritto con la semi-esordiente Katell Guillou), un regista che avevo adocchiato ai tempi di “Salamandra” ma che poi, col tempo, ho perso di vista (nel periodo fra i due estremi citati ha girato due opere sulla carta interessanti: “Eva No Duerme”, sulla peregrinante traslazione - con tappa lombarda - del corpo imbalsamato di Eva Peron e l’uccisione del generale golpista Aramburu da parte dei rivoluzionari guerriglieri resistenti montoneros, e - con JamaicaNoProblem, alias di Luis Felipe Fernandez-Salvador y Campodonico Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare - “A Son of Man”, s’un “eldorado” ecuadoregno).

 


Ma adesso vi trovate in Euskadi, tra Spagna e Francia, nel novembre del 1609, e per voi non v’è scampo alcuno: da una parte i roghi, dall’altra l’Atlantico.

 


Siete una novella Shahrazad (con venature alla Sally Albright), impegnata a tirare avanti per le lunghe fin che può, cercando d’intortare gl’inquisitori mentre sono intenti a dilaniarvi le carni, tentando di resistere sino al prossimo plenilunio, che porterà con sé a riva il ritorno del vostro uomo e di quelli delle vostre sorelle, amiche e compagne dalla battuta di pesca al largo.

 


Bel cast, nel quale spiccano, fra le ragazze, alcune esordiente ed altre no, Amai Aberasturi, Garazi Urkola, Jone Laspiur, Yune Nogueiras e Irati Saez de Urabain.

 


Meno incisivi, ma comunque validi, i co-protagonisti maschili: Àlex Brendemühl (potere temporale: l’Inquisitore, agli ordini del Papa), Daniel Fanego (potere secolare: il Consigliere, agli ordini del Re) e Asier Oruesagasti (il pretino-pretucolo-pretastro, agli ordini del Si Salvi Chi Può, e Io Può).

 


Fotografia di Javier Agirre, montaggio di Teresa Font (Almodóvar, Gilliam, Aranda, de la Iglesia) e musiche di Maite Arrotajauregi e Aránzazu Calleja (“el Hoyo”).

 


• Oratorio.

- “Signore… Si muove s’una scala cromatica...”
- “Una scala cromatica?”
- “Può andare avanti all’infinito.”

• Imprecatorio (paradossale).

- “Signoria, non vi pare quantomeno ridicolo tutto questo?”


• Promontorio (Ordàlìa per sfracello).

- “Volano!”

* * * ¾

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• Corollario.

«Prima del 1500, Sprenger dice: "Bisogna parlare di eresia delle streghe, non degli stregoni; questi contano poco". E qualcun altro, al tempo di Luigi XIII: "Per ogni stregone, diecimila streghe".
"La natura le ha fatte streghe". È la vera indole della donna, il suo temperamento. Nasce fata. In ricorrenti celebrazioni, è sibilla e, in amore, maga. Per scaltrezza e malizia (spesso capricciosa e benefica), è strega che svela il destino e magari placa o evita i malanni.
Viaggiando, vediamo che ogni popolo primitivo ha uguale inizio: l'uomo caccia e combatte, la donna s'ingegna, immagina, crea sogni e divinità. Certi giorni è veggente, padrona delle immense ali del desiderio e della fantasia. Per meglio prevedere il tempo, osserva il cielo. Ma non ha meno a cuore la terra. Volgendo gli occhi sui teneri fiori, anche lei giovane fiore, li conosce intimamente e, come donna, a loro chiede di guarire chi ama.
Semplice, commovente avvio di religioni e scienze. In seguito, ogni cosa si separa e vediamo giungere lo specialista: il giullare, astrologo o profeta, negromante, prete o medico. Tuttavia, in principio la donna è tutto.
Il paganesimo greco, religione potente e vitale, comincia dalla sibilla e finisce con la strega. La prima, vergine bella e luminosa, lo cullò circondandolo d'una magica aureola. Più tardi, deluso, malato, nelle tenebre medievali, per deserti e boschi, la strega lo protesse e, pietosamente, gli diede il nutrimento che lo tenne in vita. Così, per le religioni, la donna è madre, custode amorosa e nutrice fidata. Gli stessi dèi, come gli uomini, nascono e muoiono sul suo grembo.
[...]
Unico medico del popolo fu, per mille anni, la strega. Imperatori, re, papi, i più ricchi baroni avevano qualche dottore di Salerno, qualche moro o ebreo; ma la grande massa, un po' tutti e d'ogni condizione, consultavano solo la Saga o Saggia-donna. Non guarendo, la insultavano e le dicevano strega. Ma di solito, per rispetto e anche timore, la chiamavano Buonadonna o Belladonna: lo stesso nome dato alle fate.
Le capitò quanto ancora capita alla sua pianta preferita, la belladonna, e alle pozioni benefiche da lei usate, rimedi dei grandi flagelli del medioevo. Il ragazzo e l'ignaro passante maledicono queste livide erbe senza conoscerle. I colori indefiniti li terrorizzano. Arretrano, s'allontanano. Eppure si tratta solo di lenitivi (solanacee) che, somministrati con misura, hanno spesso guarito e alleviato molti mali.
Li trovate nei luoghi più sinistri, solitari e pericolosi, tra macerie e ruderi. Anche in questo somigliano a chi li utilizzava. Dove se non in lande selvagge avrebbe potuto vivere quell'infelice così perseguitata, quella maledetta, reproba, avvelenatrice che guariva e salvava? La sposa promessa del diavolo e del Male in persona, colei che ha fatto tanto del bene, come dice il gran dottore del Rinascimento Paracelso: che, nel 1527, fece a Basilea un falò di tutta la medicina, dichiarando di non sapere niente oltre a quanto appreso dalle streghe.
Meritavano un premio. L'ebbero. Le compensarono con torture e roghi. S'escogitarono appositi supplizi, inediti strazi. Venivano giudicate in massa e condannate per una parola. Mai ci fu più spreco di vite umane. Per non dire della Spagna, classica terra di roghi dove non c'è moro né ebreo senza strega, se ne contano settemila a Trèviri e non so quante a Tolosa. A Ginevra, cinquecento in tre mesi (1513); ottocento a Würzburg, quasi in un'infornata; e millecinquecento a Bamberg (due piccolissimi vescovadi). Ferdinando II in persona, il bigotto e crudele imperatore della guerra dei trent'anni, fu costretto a controllare i suoi bravi vescovi: non avrebbero risparmiato un solo suddito. Nella lista di Würzburg trovo uno stregone undicenne, uno scolaro e una strega di quindici anni; a Bayonne due di diciassette, per loro disgrazia graziose.

[...]

Le imputate, se possono, prevengono la tortura e si uccidono. Remy, l'insigne giudice di Lorena, che ne bruciò ottocento, di questo terrore trionfa. "La mia giustizia è tanto buona", dice, "che sedici, arrestate l'altro giorno, non attesero, si strozzarono prima."
[...]
Neppure i moderni hanno troppo studiato la cronistoria morale della stregoneria. S'attardano eccessivamente sui rapporti tra medioevo e antichità. Rapporti reali, ma labili e di poco conto. La vecchia maga, la veggente celtica e quella germanica non sono ancora la vera strega. Le innocue Sabasie (da Bacco Sabasio), modesti sabba campestri continuati nel medioevo, niente hanno in comune con la messa nera del XIV secolo, questa grande, solenne sfida a Gesù. Tali terribili concezioni non provengono dalla tradizione. Uscirono dall'orrore del tempo.
A quando risale la strega? Rispondo senza esitare: "Ai tempi della disperazione". Della profonda disperazione causata dal mondo della Chiesa. Senza esitare, dico che "la strega è il suo delitto".»

Jules Michelet - “la Sorcière” - 1862 (“la Strega”, Nuovi Equilibri, Viterbo, 2005, con traduzione di Stefano Lanuzza, e poi Rizzoli / BUR / Classici Moderni, Milano, 2011, con traduzione di Paola Cusumano e Massimo Parizzi).      

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