Regia di Woody Allen vedi scheda film
Un discreto film filosofico. Per riflettere pone problemi e domande non risposte: questo è un pregio del “laico” Allen, che lascia aperte tutte le porte.
Sono evidenti: la centralità della coscienza, che non può facilmente essere messa a tacere, anzi; la critica al mondo e alla società, che alla fine permette ai criminali l’impunità, e ai peggiori di avere molto meglio di quanto spetta invece a chi meriterebbe di più. Si era negli anni ’80 della rutilante idiozia capitalista, e il film ne mette bene alla berlina la falsità dei penosi stereotipi: in particolare la retorica della persona desiderabile in quanto è ricca ed ha successo sul lavoro. Giustamente si critica chi ha un successo pubblico che viene esibito: o perché ha una vita di privilegi, speso costruita sul crimine finanziario e non, come l’oculista; o perché, in ambito culturale, vale ben poco e si adatta a cose commerciali, come il cognato-rivale di Allen, e il successo gli arride proprio perché tiene un livello basso (e non avrebbe fatto successo se avesse voluto essere serio, come fa il personaggio di Allen, che si rovina possibilità di carriera per non cadere nel difetto della squallida qualità consapevole).
Il filosofo morale ebreo poi ha una figura amara: tanto illuminante sulla felicità in generale coi discorsi, quanto incapace di provvedere a sufficienza sulla sua, di felicità, nei termini più profondi. Inoltre pure la religione (qui quella ebraica) è incapace di mostrarsi vera: non è credibile come autentica via di verità ottimistica che tutti devono condividere, se vogliono vivere bene. Questa insufficiente tenuta delle risposte ufficiali,filosofica e religiosa, è comunque discutibile, perché Allen non ne fa vedere altri aspetti, che possono essere stati positivi, o potrebbero esserlo. Ad ogni modo, questa incapacità delle vie tradizionalmente elaborate, da filosofia e religione, come del resto anche dalle istituzioni morali tradizionali (matrimonio e famiglia vengono mostrati nelle loro potenzialità negative, è ciò non è illegittimo), è il letto in cui si snoda l’esperienza morale dei protagonisti, con i suoi dilemmi, che viene mostrata nel film: e risolta in chiave pessimistica, pur tenendo aperte certe domande. Il nichilismo e la disperazione esistenziale, attenuata da dolci palliativi che tengono poco, è una cifra della concezione della vita di Allen, che questo film palesa chiaramente.
Non ci sono tempi morti; il sostegno, leggero, della struttura alla riflessione è adeguatissimo. Le felici battute di Allen sono ben centellinate. Tutti recitano bene. Martin Landau è formidabile nella difficilissima parte del protagonista.
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