Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
The Human Voice è un cortometraggio che sembra venire molto dopo le almodovariane Donne sull’orlo della crisi di nervi. La donna Swinton, qui unica protagonista del film, la crisi di nervi la sta attraversando in pieno, prende troppe pillole e sfoga la sua ira su oggetti e vestiti che rimandano a un Lui invisibile. Casa sua è un set fittizio, come quello di Brigitte Mira in Like a Bird on a Wire di Rainer Werner Fassbinder, e la sua vita è raccontata tramite un monologo che è una conversazione al telefono con l’ex compagno eterno assente. Il film di Almodovar è un continuo rimando all’alterità fuori dallo schermo: la casa è priva di soffitti e può spezzettare il corpo della Swinton in pezzi a suo piacimento; la superfici sono coloratissime pastello, a combattere l’iniziale tinta unita delle sue vesti; i primi piani sono quelli che Almodovar usa sempre nei suoi film e che si potrebbero riconoscere a distanza infinita; pure i dvd che Swinton maneggia all’inizio rimandano a tanto cinema che ha un suo insospettabile fil rouge (da Kill Bill a Phantom Thread, fino a All That Heaven Allows). La parsimonia con cui il regista spagnolo padroneggia la materia cinematografica, anche in termini di un montaggio che certamente controlla in prima paersona, fa apparire piccola molta della più entusiastica produzione cinematografica contemporanea: solo in 30 minuti, con un’operazione che ricorderebbe The Staggering Girl di Luca Guadagnino (anche qui tanti marchi e tante firme, da Chanel a Nespresso), Almodovar registra la sfilata di un’anima in pena che si muove come in gabbia incapace di esaugire i suoi desideri e di superare la paura di se stessa. E qualsiasi riflessione metaartistica arriva raffinata e allusiva come pochi sarebbero in grado di fare: donando fiducia nella fantasia dello spettatore.
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