Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
METACINEMA-Il lamento dell’amante abbandonata è motivo topico già nelle letterature classiche: l’eroina, tradita, abbandonata su una spiaggia deserta, esibisce il suo dolore in soliloqui evocativi, in realtà monologhi rivolti a un amante ormai al di là del mare come se la voce potesse commuoverlo e farlo tornare. Jean Cocteau nel 1930 sostituisce il lido solitario con il telefono: la separazione ora è spaventosamente metaforica, il traditore può ascoltare, rispondere, eppure si limita a qualche frase di circostanza, forse a un certo punto riattacca o cessa di prestare attenzione alla donna innamorata. Tra il desiderio e il uso oggetto continua a ergersi il silenzio infinito dell’oceano. Il male d’amore dunque esige uno scenario adatto, poeticamente allusivo. Almodòvar rielaborando l’amata piéce dell’autore francese, opta piuttosto per un palcoscenico gremito di oggetti, simboli, ove l’enfasi della sofferenza possa trovare un’eco, amplificarsi: un’ascia, il rosso e il grigio degli abiti, un cane, una tanica di benzina, copertine di libri, il fuoco vivo dell’incendio, e un’hangar che fa venire in mente il set di un film in procinto di essere girato o che è appena stato terminato. La storia è comunque dietro le spalle; forse ci sarà un futuro, una storia altra, dopo che la donna, lasciato lo stanzone in preda alla fiamme, esce in strada e si avvia chissà se verso la vita reale o verso un altro ruolo, un’altra parte in cui calarsi. La biografia di un artista è messa in scena o non è. Ma“ La voce umana”non è che frammento ove la forza cromatica e la costipazione delle cose inonda il lamento allo smartphone: una breve pagina strappata via da altre pellicole di Almodòvar dove eroine votate a passioni totalizzanti, hanno dettato, ricordando o recitando Cocteau, le regole inviolabili della legge del desiderio. Metacinema allora più che cinema.
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