Regia di Alex Infascelli vedi scheda film
Non c'è, né vuole esserci, l'intervento di voci terze, perché a dar forza e a riempire emotivamente le immagini sono l'ironia e l'umiltà da sempre caratteristiche proprie dell'uomo Francesco Totti, qui utilizzate a supporto di una storia, la sua, che è già di per sé quasi una sceneggiatura cinematografica.
«E pensare che la prima parola che ho detto è stata "palla"».
Francesco Totti entra nel suo tempio, lo stadio Olimpico di Roma, la sera prima della sua gara d'addio, a fine maggio del 2017: ancora non riesce a credere che di lì a poche ore indosserà gli scarpini per l'ultima volta da professionista. Da questo spunto parte il racconto, con la sua voce sempre fuori campo ma onnipresente, in un flusso narrativo che mette insieme - senza filtri - pubblico e privato, iniziando da un super8 di fine anni '70 che lo riprende sulla spiaggia, a Porto San Giorgio, tenersi in piedi a malapena ma dare già i primi calci ad un pallone più grande di lui, e chiudendosi con quell'ultimo tributo del suo pubblico.
Alex Infascelli, regista chiamato a mettere su schermo l'autobiografia che il calciatore ha scritto con il giornalista Paolo Condò, decide sin dal titolo (Mi chiamo Francesco Totti) di svolgere l'intero documentario in prima persona, mettendo i propri strumenti al suo servizio. Per questa scelta efficace e probabilmente inevitabile, Mi chiamo Francesco Totti si presenta come un documentario pressoché elementare dal punto di vista dello schema narrativo, limitandosi (a parte qualche ricostruzione recitata relativa agli anni della scuola) a seguire la cronologia degli eventi ed utilizzando in buona parte materiale noto se non addirittura mandato a memoria dai tifosi.
Non c'è, né vuole esserci, l'intervento di voci terze (a parte quelle registrate dei cronisti sportivi), perché a dar forza e a riempire emotivamente le immagini sono l'ironia e l'umiltà (quest'ultima sottolineata dalla volontà di non omettere un paio di scivoloni dovuti al carattere permaloso) da sempre caratteristiche proprie dell'uomo Francesco Totti (e che hanno contribuito a farne un campione), qui utilizzate a supporto di una storia, la sua, che è già di per sé quasi una sceneggiatura cinematografica, tanto è singolare e probabilmente irripetibile se traslata in altri contesti o in altri luoghi.
Già, perché l'altra protagonista indiscussa di questo excursus che tocca tutti i momenti più importanti di una carriera unica, è Roma, mai come in questa occasione da intendere indissolubilmente sia come squadra che come città: ai suoi colori e alle sue bellezze, così come al calore della sua gente, Francesco ha dedicato una carriera guadagnandosi un amore immenso e un'eterna riconoscenza, preferendo vincere molto meno di quanto avrebbe potuto, ma assurgere - consapevolmente - allo status immortale di 'monumento' o, se si preferisce, di ottavo re.
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