Regia di Charlie Kaufman vedi scheda film
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"-Forse guardo troppi film. Mi riempio di bugie per passare il tempo come un battito di ciglia, e quel battito dura lunghissimi minuti.
-È come il virus della rabbia, che si attacca ai nostri gangli e diventiamo noi stessi il virus.
-I virus sono mostruosi.
-Tutte le cose vogliono vivere. I virus sono solo un altro esempio di tutto.
-Mah..
-Anche le false idee di un brutto film vogliono vivere.... Infatti crescono nel tuo cervello e sostituiscono le vere idee... Ecco perché sono pericolose."
Lucy ha, da poche settimane, una relazione sentimentale con un coetaneo un pò impacciato e timido di nome Jake, con cui tuttavia riesce molto bene a corrispondersi, a dialogare, ad intavolare discussioni in cui le reciproche intelligenze e culture riescono a rapportarsi nel migliore dei modi, a confrontarsi, senza mai farsi trovare l'un l'altro così impreparati da non riuscire a ribattere, rendendo stimolante il dialogo, tenendo testa ognuno nei confronti dell'altro, segnando i fondamenti per una intesa dalle apparenze perfette, se non proprio armoniche.
Ciò nonostante, Lucy è insicura nei riguardi di quel rapporto, e, pur senza rinnegarne gli aspetti positivi, avverte una voce dentro di lei la avverte che è più prudente porre fine a quella diplomatica e assai dialettica relazione.
Ciò nonostante, quando Jake invita la sua ragazza all'incontro più compromettente che possa esistere tra una coppia di fresca frequentazione - ovvero andare a conoscere i genitori dell'altro - ecco che Lucy non riesce ad avere il coraggio o la prontezza di riflessi per trovare una scusa per non accettare.
Infatti la ritroviamo in macchina con Jake a filosofeggiare per ingannare il tempo necessario ai due per raggiungere la fattoria dei genitori del ragazzo, sfidando peraltro condizioni atmosferiche che promettono solo un ulteriore peggioramento.
E, una volta arrivati, sia il luogo isolato, tetro e odoroso di sentori di morte, sia l'approccio un pò impacciato, un pò mellifluo, tanto enigmatico dei genitori, dall'aspetto sinistramente cangiante, soprattutto a livello anagrafico, inducono Lucy a sentirsi in trappola, messa alla gogna per una resa dei conti in cui ella è finita alle corde forse per codardia, forse per incapacità di trovare il coraggio di esprimersi per come si sente veramente, piuttosto che per come le piacerebbe che gli altri pensassero che è.
Dal romanzo omonimo di Iain Reid, che cercherò di far mio se promette di contenere i meravigliosi dialoghi della splendida, stimolante, ma anche assai allarmante trasposizione di Charlie Kaufman, ecco su Netflix finalmente un film straodinario, inquietante come è lecito aspettarsi dal genio controverso e stimolante dell'autore di Synecdoche, New York.
Che dirige niente di meno, ma anche molto di più, di un horror, sofisticato e colto, che gioca sulle inquietudini di apparenze ingannevoli e trasformazioni caratteriali repentine, a causa delle quali l'occhio non può più essere un senso affidabile, e l'istinto che ci parla nella testa, diviene l'amico più affidabile e prudente a cui affidarsi.
"Tutto deve morire. È la verità. Ci piace sperare che ci sia sempre una speranza, che si possa vivere oltre la morte.
È una fantasia esclusivamente umana sperare che le cose vadano meglio, nata forse dalla consapevolezza unicamente umana che niente andrà meglio.
Non c'è modo di saperlo con certezza, ma sospetto che gli esseri umani siano gli unici esseri viventi a conoscere l'inevitabilita' della loro morte.
Gli altri animali vivono nel presente.
Gli umani non possono.
E così hanno inventato la speranza".
Momenti di inquietudine, di magia di scrittura, senz'altro di grandissimo cinema, rafforzato e reso praticamente perfetto da un cast contenuto in termini numerici, ma forte di almeno quattro interpreti straordinari, indimenticabili: l'attrice irlandese Jessie Buckley, portentosa nel delineare i tratti arguti ma anche sconcertati e un pò consapevolmente e spiritosamente goffi, della protagonista Lucy; poi Jesse Plemons, nei panni del colto, insicuro e pieno di contraddizioni Jake.
Un attore che, se continua di questo passo, diverrà il vero erede, anche a livello di somiglianza fisica, del grandissimo e compianto Philiph Seymour Hoffman.
E poi i due folli, rivoltanti, melliflui e anche piuttosto satanici genitori di lui, ovvero la nuovamente inquietante (dopo Hereditary) Toni Collette, e l'inedito, sempre ottimo e qui macabramente ironico e viscidamente ultraeccitato, quasi sbavante David Thewlis.
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