Regia di Charlie Kaufman vedi scheda film
The point, my friend, is that there's no point. Uh-uh. O meglio: nessun punto che vada oltre ciò che risulta evidente dopo 10 minuti. Chiarito ciò, vediamo di proseguire affrontando le questione veramente importanti. Dunque, 2 ore e 14 minuti. Tanto è durata. Tanto durerà per i futuri sventurati che si cimenteranno temerariamente nell'impresa.
2 ore e 14 minuti d’agonia colmi di pretenziosità simil-gen(i)aloidi sin dall’incipit coi brevi titoli di testa “vergati” in carattere simpatico, che un attimo riusciamo a intravederli e quello dopo cominciamo seriamente a dubitare della nostra stessa vista. D’altro canto, non sono forse gli stessi prodi protagonisti a ricordarci che la realtà oggettiva – quella brutta, meschina, pleonastica, materiale, volgarissima realtà di tutti i giorni – è solo pura illusione?
Certo che sì, in uno di quei numerosissimi e sfiancanti dialoghi creati nell’evidente quanto maldestro e fin commovente tentativo di risultare profondi, perspicaci e penetranti, chiarificando così a chi doveva essere chiarificato la natura eminente e superiormente arguta dell’opera (altrimenti di difficile discernimento).
Sto pensando di finirla qui (2020): Jessie Buckley, Jesse Plemons
Il portato del nuovo film di Kaufman è gravoso, gravosissimo, filosoficamente rilevantissimo. E – per i più intelligenti – talmente evidente da risultare accecante, o forse ancor meglio obnubilante. Esatto. Per quanti al contrario facciano parte dell’infima cerchia di coloro i quali dell’incommensurabile profondità dell’opera non riescono a ravvedersi, dovrebbe risultare sufficiente lo scongiuro di sempre: se non ve ne ravvedete, è perché siete stupidi, perché siete cretini, banali, insensibili voi.
Probabile facciate parte della rinomata congrega dei piagnoni, composta da ridicoli omiciattoli i quali nulla intendono e pur tuttavia debosciati come sono s’arrogano comunque il diritto e hanno l’ardire di giudicare e criticare la vera e sublime arte, nonostante non siano in alcun modo in grado di comprenderla, essendo intellettualmente incapaci, mentalmente retrattili.
Perché, siore e siori, siamo qui in presenza dell’orizzonte aulico massimo e sopraffino della “poetica kaufmaniana”. Il che ovviamente non può che constare dell’apice dell’auto-indulgenza congiunto fecondamente al vertice della supponenza, palesantesi nella convinzione d’aver molto da dire e una sottile, sottilissima maniera per farlo. Cos’altro mai, d’altra parte, si può chiedere ad un’opera di così elevata concezione et grandiose ambizioni? Appunto.
E così via ad un profluvio di scene/scenette protratte oltre ogni limite, condite con buone dosi di citazioni, riferimenti, discussioni dotte e ficcanti, forse per provare il punto che in molti (anche nell’arte) “vivono per imitazione, le loro passioni una mera citazione”. Chissà, una concezione che forse piacerebbe a Tarantino (o forse no).
Sto pensando di finirla qui (2020): Jessie Buckley
Il tutto si riduce, in linea di massima, ad un estremo atto di egotistico accanimento da parte dell’autore e di strenua sopportazione da parte dello spettatore. A quest’ultimo proposito, il titolo finisce per farsi esemplicativo dello stato d’animo dello sventurato di turno irrimediabilmente tediato dalla visione.
Per farla breve: sì, è vero, un paio di scene visivamente intriganti vi sono (la più assurda quella del “Tulsey Town” sperso nel bel mezzo del nulla glaciale…), la protagonista è brava, la fotografia affascinante, ma è sufficiente questo a redimere l’intera operazione? Domanda retorica. Diciamo solo che già dopo i primi minuti s’inizia a lanciarsi in quella particolare pantomima dell’uomo e della donna profondamente ammorbati, la quale consiste sostanzialmente in quella proverbiale girata d’occhi spasmodica e quell’altro proverbiale volteggio di palpebre irrequietissimo. Un insieme di tic nervosi esprimenti il più nero sconcerto e la più totale insofferenza di fronte ad un polpettone che cerca affannosamente di risultare “very, very artsy”, veramente tanto d’essai e moltissimo “artistico”, ottenendo l’unico risultato d’oltremodo annacquare quel minimo di sostanza che porta, “spandendola e sbrodolandola” in oltre 2 ore di ammiccamenti, momenti stranianti, generale semi-delirio.
Sto pensando di finirla qui (2020): Jesse Plemons, Jessie Buckley, David Thewlis, Toni Collette
Così si confeziona il perfetto polpettone esistenzialista, ricolmo di tanta sostanza quanta si sa da sempre riempe le opere degli esistenzialisti. Difficile dire quanto sia da imputare al sopravvalutatissimo Kaufman (il quale è riuscito a convincere solo in un paio d’occasioni, come sceneggiatore, con Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello) e quanto invece al romanzo d’origine, ma sicuramente la curiosità di scoprirlo è del tutto assente.
Sto pensando di finirla qui (anch’io, non preoccupatevi…) è pesantissimo e senza alcuna valida ragione, senza potersi “permettere” il "lusso" di esserlo, vista l’esilità del grande “messaggio” che pretenderebbe di esprimere; è un film pare prodotto con il programamtico intento di deprimere oltre ogni misura, ma non per i contenuti (come vorrebbe) ma per la forma da suicidio rituale (se vogliamo, da seppuku).
Ecco a voi la storia d’un uomo finito, che intende “dirci”: sniff sniff, ma ‘sta vita, ‘sta vita terrena… ma, ma quanto è brutta, insensata, solitaria, alienante e opprimente? perché la sopportiamo? perché siamo qui?… sniff sniff… ma l’amore, l’amore quanto è duro, le relazioni sociali ma quanto sono ardue… Che dite, meglio sperare nella “prossima”, di vita?
Dall’esperienza si esce agonizzanti, in fin di vita, annichiliti dalla pochezza dell’insieme ed altresì dalla voluta apparente “cripticità”, banale stratagemma atto a nascondere la banalità di fondo. A questo punto, una “cosa presumibilmente divertente che non farò mai più” è senza dubbio rivedere questo “film”. Au revoir, bye bye, ciao ciao. E a mai più rivederci.
Sto pensando di finirla qui (2020): Jessie Buckley
"Wondering on existence... On life, the universe and everything..."
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Vorrei dare un plauso a questa recensione (e non perché mi trova d'accordo, ma per come argomenta), ma soprattutto allo scambio qui sopra. In un momento in cui "le ragioni del sì e del no" non fanno altro che confondermi le idee, questo vostro dialogo mi è invece molto servito. Grazie!
Ringrazio anch’io Simone per aver sempre mantenuto un tono educato nella nostra discussione e per non essersi lasciato trascinare dall’insulto facile come molti farebbero.
Ma figurati, grazie a te della bella discussione! Anche perché ora mi è venuta ancora più voglia di vedere di nuovo il film per vederci più chiaro... ;-)
Beh, che dire... @Leman, @IlGranCinematografo grazie dell'interessante discussione tra voi e @Data grazie dei complimenti
Mi scuso sin da subito per il ritardo nella risposta: impegni universitari astringenti…
Bene, detto questo, vorrei iniziare da un conveniente DISCLAIMER: tutto quello che scriverò nelle righe sottostanti potrebbe fortemente urtare la sensibilità di taluni lettori e dunque tutti, compresi questi ultimi eventualmente “urtati”, sono pregati di prenderne preventivamente nota…
Allora, @Leman. Innanzitutto, ti ringrazio per i complimenti e l’interessante commento che mi ha suscitato numerose e interessanti riflessioni (nonostante non concordi con diversi punti dello stesso).
Partiamo quindi dalla questione direi “preminente”: l’esistenzialismo. Potrei risolverla con una battuta “da seminario”: “il senso della vita è la vita, il fine della vita la fine” (sagge parole pronunziate da “homini saggi” -- https://www.youtube.com/watch?v=x-zuD1D56L0#t=15m10s).
Ma, al di là delle scemenze, ammetto d’essermi lasciato un po’ prendere la mano con l’ironia nella mia rece e – sperando di non ulteriormente irritare nessuno – vado dunque brevemente a chiarire un paio di cose (opinioni personalissime dunque opinabilissime) circa l’esistenzialismo e vari derivati.
In estrema sintesi, ritengo che, arrovellandosi seriosamente circa l’“annoso” (credono loro) problema del “senso della vita” salvo poi “struggersi” nella grande angoscia universale che l’assenza del medesimo dovrebbe ingenerare in ogni uomo sano di mente anche se non filosofo, gli esistenzialisti (di qualunque poca, etnia, segno, religione, anagrafica e compagnia bella) non facciano altro che discettare del nulla, sperperare e dissipare energie intellettuali (di qui l’edotto riferimento galattico…), oltreché temo – e risulta essere cosa ben più grave – spargere e diffondere per il mondo le loro personalissime ossessioni, sclerosi e “angustie”, altrimenti perfettamente evitabili, in quanto difficilmente “filosoficamente sintetizzabili” in autonomia dalla stragrande maggioranza del genere umano (e – in questo caso – si tratta d’un complimento).
Il punto alla fine è questo. Il senso non c’è, ma non basta: è la domanda stessa a non avere alcun senso (e si perdonerà il gioco di parole). Sì, perché il significato altro non è che una proprietà del linguaggio (ovvero, in esteso, della nostra mente che tenta di mettere piuttosto maldestramente ordine al reale) e non certo invece un’effettiva proprietà delle cose del mondo (non ha senso chiedersi “ma perché quest’albero esiste, che significato ha la sua esistenza?”…). In altri termini, le questioni esistenzialiste hanno grammaticamente senso, ma non realmente senso (giochi di parole portatemi via…).
In virtù anche di quanto appena detto, persiste e insistere appunto nella realizzazione di polpettoni deprimenti e disarmanti ruotanti intorno a tali sedicenti “grandi problemi” (come le turbe mentali d’un depresso supponiamo esistenzialista in nuce…) lo trovo una alquanto acuta perdita di tempo, in special modo per chi di questi polpettoni fruisce.
E non solo in quanto tutto si riduce ad un qualcosa di già visto e stravisto (come sottolineato anche dal @GranCinematografo), ma anche in quanto per giunta ad un qualcosa di tremendamente auto-indulgente, visto che al tirar delle somme s’occupa in pratica delle delusioni amorose che si tramutano in “esistenziali” a causa del soggetto ricevente giusto un pochetto disturbato. La vita non ha senso, ma si sapeva… perché questo dovrebbe deprimerci? Non per niente le persone equilibrate da questo non si fanno deprimere affatto, men che meno solo perché sono state “mollate” (a questo punto immaginiamo le sedute psicanalitiche dell’uomo Kaufman e l’armadietto del bagno ripieno d’ogni sorta di pasticca alla american way – come mirabilmente descritto in quella memorabile pagina di IT – ; pasticca una più utile dell’altra al fine di contenere la suprema depressione esistenziale sentimentale ontologica [facendo la felicità di Big Pharma, ma sto divagando…]).
Poi, in merito all’oggettività. Una precisazione: non ho mai preteso di dirmi oggettivo. Anzi, dirò di più: non credo che esista proprio in generale quest’entità fantasmatica a cui daremo il nome di “critica oggettiva” (che costituisce piuttosto l’ossimoro perfetto). E, a dirla tutta, nel caso specifico, mi pare che finisca in sostanza per “ammetterlo” pure tu nel momento in cui mi dici del fatto che “non esiste una reale visione oggettiva di esso” e che “è tutto relativo all’occhio e alla mente di chi guarda.”
Come il critico culinario, letterario o quel che vogliamo, nasconde (o almeno tenta di nascondere) dietro tutta la studiatissima cortina fumogena dei termini “specifici”, il fatto innegabile che alla fine basa la propria critica sul suo proprio gusto, così fa chiunque (pur non possedendo la “patente” del critico “official”) s’accinga ad operare una critica di prodotti artistici di qualunque genere: si nasconde dietro i termini (come gli psichiatri) al fine di non troppo efficacemente mascherare la propria parzialità. Perché, alla fine, tutti giudichiamo un film per quello che ci ha regalato, quello che ci ha trasmesso… insomma, la soggettività è ineludibile. Perfino per quanto concerne la tecnica, in taluni casi. Non ci si scampa. Non stiamo mica parlando di trattati scientifici, dopotutto. L’oggettività è distante dalla critica come la logica è distante dagli strutturalisti. Proprio non vanno d’accordo, poco da fare…
E, d’altro canto, se un film annoia è difficile che ciò non abbia niente a che vedere anche con sue generiche qualità oggettive. Guarda caso, però, quel che per uno è noia per l’altro è godimento… Che ci vogliamo fa’? [Da qui la nostra divergenza di opinioni, perché questo sono :)]
Riguardo a Kubrick… Beh, non voglio aprire (come no…) un’altra “diatriba”, ma nel caso del “monolite” diciamo che ha operato una gran furbata. E tutti infatti lì a chiedersi quale sia il “profondissimo arcanissimo significato dietro” allo stesso. Probabile che se la ghigni ancora oggi dall’oltretomba (no, aspetta…).
Inoltre, scusami ma non importa se Kaufman si consideri miserabile/privo di talento ecc. – il fatto che se lo dica da solo, di esserlo, non vuol dire niente e non esclude comunque che riesca a produrre un’opera pretenziosa a dispetto della propria auto-diagnosticata “piccolezza”, umiltà o quel che è…
Posso chiedere in conclusione cosa c’entra Dune? Proprio non c’arrivo XD
PS: Perdona il profluvio di notifiche che probabilmente ti saranno arrivate a seguito del mio aver più volte cancellato e rivisto il commento al fine di correggere certi obbrobriosi errori :)
Dammi un’ora per ritornare a casa e ti rispondo.
Avevi ragione, mi hai urtato con questo commento.
Azz. Dispiaceeeee. Patteggiamo?
https://www.youtube.com/watch?v=TKLbeTb6e1Q#t=00m55s
[pardon... momento idiozia...]
Ti rispondo a quest’ora perché ho fatto tardi e domani mattina non posso.
Allora, partiamo dicendo che se veramente fosse come dici tu e l'esistenzialismo e la filosofia in generale si potessero ridurre al porsi domande banali come “perché esistiamo?”, allora non saremmo qui a parlare di cinema ma di calcio.
L’uomo nasce per porsi domande e per pensare al senso delle cose.
La tua stessa recensione è una dimostrazione di ciò.
L’unica forma di essere umano che non si pone quesiti e vive la vita senza alcuna forma di esistenzialismo è l’ignorante.
L’uomo nasce esistenzialista e se non fosse tale l’arte non sarebbe mai nata e noi non saremmo qui ora a parlare di Kaufman.
Una visione del mondo senza domande e senza filosofia (perché se vogliamo togliere una qualsiasi corrente della filosofia perché “si pone domande inutili” allora dobbiamo cancellare anche le altre) è una visione del mondo che sinceramente mi fa schifo.
Il film è esistenzialista per il semplice fatto che è ambientato nella mente di un vecchio che arrivato alla fine della sua vita si interroga su come ha vissuto e su tutti i suoi dispiaceri e rimpianti.
Non è un piangersi addosso e nemmeno una serie di banalità, è solamente un ritratto sincero della realtà in cui viviamo. Non accettare una corrente artistica o uno stile è una cosa più che onesta. Spalare merda gratuitamente su grandi pensatori no.
In quanto all’oggettività io non ho mai detto che esiste.
Quello che intendevo era che ogni opinione è soggettiva, ma deve partire da una realtà oggettiva.
La noia non è un fattore con il quale si può giudicare un film perché è di quanto più inutile esiste sulla faccia della terra.
Tutti gli studenti si sono annoiati centinaia di volte davanti ad una lezione scolastica. Questo non rende la lezione per forza noiosa.
Aggiungo che ritrovarsi davanti a capolavori come Il Settimo Sigillo (esagero, ma solo per rendere bene l’idea) e ritrovarsi a dire solo “mi ha annoiato” è un parare non solo superficiale, ma anche inutile.
Non sto dicendo che il tuo parere espresso nella recensione sia superficiale, ma l’indicare la noia come un difetto secondo me lo è.
Riguardo a Kubrick è palese che il monolite qualcosa significhi. Se poi non significa nulla solo l’idea stessa del monolite rende l’opera di Kubrick un capolavoro, in quanto una delle immagini più evocative della storia del cinema.
Davanti a 2001 (altra opera ispirata all’esistenzialismo, quindi con la tua critica precedente hai anche criticato questo film) non si può non rimanere stupiti e non ci si può non porsi domande, altrimenti non si dovrebbe mai più parlare di cinema.
Poi ovviamente ognuno si costruisce il proprio significato, ma deve avere comunque senso.
Se per esempio uno mi dice che 2001 è una metafora politica gli dico che è idiota perché il film non ha nulla di politico. Se mi parla del rapporto uomo-tecnologia e dell’evoluzione è già meglio perché il film parla palesemente di quello.
E lo ripeto, il monolite rimane una delle opere più significative di sempre, anche se fosse stato creato senza significato.
La pretenziosità dell’opera d’arte va di pari passo con quella dell’autore. Kaufman è tutto tranne un pretenzioso egoista, quindi la sua opera non può essere tale.
Semplice.
Una critica come quella della pretenziosità la capirei molto di più davanti a un regista come Tarkovskij, ma anche in quel caso si entrerebbe nel territorio della bestemmia.
Il senso del mio commento comunque era: giudichiamo il film in base alle reali qualità, non in base a cose inutili come la noia e a teorie campate in aria come quella della pretenziosità dell’autore.
PS: Dune non centrava nulla, ma volevo scrivere qualcosa su cui forse potevamo essere d’accordo.
Posso aggiungermi? Secondo me, c'è stato un grosso equivoco alla base di questa conversazione: in ballo non c'è una visione del mondo, ma il MODO in cui essa si dipana. La critica ci insegna da sempre che il cinema è prima di tutto immagine; il che significa che un contenuto banale può essere elevato a livelli straordinari da una forma eccelsa di messa in scena. Non sempre succede; anzi, a volte è anche il contrario (copione magistrale ma messo in scena da cani), ma la differenza è che una messa in scena miserrima NON può essere riscattata da una sceneggiatura geniale, e al massimo avremo un film accettabile, ma nulla di che, perché appunto il cinema è prima di tutto immagine. Detto questo, per quanto mi riguarda, ogni autore è liberissimo di portare in scena la propria visione del mondo, la propria filosofia, la propria vita, le proprie idee politiche, ma affinché ne venga fuori qualcosa di solido sul piano cinematografico lo deve fare con una visione cinematografica d'insieme che va a sovrapporsi al proprio pensiero, sostanziandolo e dandogli una forma che possa essere piacevolmente fruibile da un pubblico. Qui non stiamo parlando di "Rambo 2" o di un film politicamente aberrante che si compiace di cose sbagliate e pericolose come il fascismo o il patriottismo nazionalista (tanto per fare un esempio di film che CHIUNQUE farebbe fatica a promuovere, anche se sfoggia una forma perfetta), ma di un film che mette in campo una visione del mondo certamente deprimente, ma in linea di massima né piatta né banale, A PATTO che però la si metta in scena in un certo modo che riesca a non essere scontato (e infatti è per questo che ho citato dei film in cui credo che la tematica esistenzialista venga mostrata in maniera decisamente più intelligente, e talora PER NIENTE auto-indulgente, checché ne si dica). Perciò, per quanto mi riguarda, l'unico possibile dibattito sussiste sul COME, non sul CHE COSA (a meno che non si parli di film fascistoidi o contro il buonsenso, lo ribadisco), perché il cinema, gira che ti rigira, racconta sempre le stesse storie, gli stessi sentimenti e le stesse tematiche. La diversità la fa la forma, cioè l'immagine. E la diversità di opinioni è ciò che tiene viva la critica, da sempre. Certo è che una base di oggettività ci deve stare, ed è il film stesso: non si può criticare o elogiare un film in base a supposizioni che non hanno nulla a che fare col testo in esame, esattamente come è aberrante credere di sapere com'è un film avendone visto solo il trailer (cosa che oggi va TROPPO di moda, per quanto mi riguarda). Ciò detto, fra "2001" e questo nuovo film di Kaufman c'è un'abissale differenza: il monolite di Kubrick ha suscitato innumerevoli interpretazioni, centinaia di saggi sull'argomento e dibattiti a non finire, grazie soprattutto al suo fascino sul piano cinematografico e al conturbante mistero che ne ammanta l'immagine, il che NON significa che non abbia un senso, perché anche se desse forma alla mancanza di senso dell'esistenza, sarebbe anche quello un senso. Per chi si intende di semiotica, ogni testo (quindi anche ogni film) è un insieme di segni, e ogni segno ha SEMPRE un significato, anche quando il proprio autore non ha voluto attribuirglielo. Invece, dubito fortemente che il balletto finale di "Sto pensando di finirla qui" possa essere così fertile, semplicemente perché, oltre a non essere originale, non ha mistero, e quindi nemmeno fascino: se il suo obiettivo era quello di NON avere un significato preciso per assorbire quello che di volta in volta gli viene attribuito dal singolo spettatore, allora fallisce, perché il cinema funziona in modo opposto, non è un contenitore vuoto da riempire ma un contenuto che può essere osservato da vari punti di vista; se invece il suo obiettivo era quello di avere un preciso significato nell'economia del racconto, fallisce comunque, perché se è quello che avevo intuito anche io è un significato assai banale, e se invece è più complesso di quello che sembra lo sa interpretare soltanto il regista, e questo NON va bene, perché il cinema non è la pittura, non è l'esternazione dei propri moti interiori, ma la creazione di un racconto che sia anche personale e soggettivo, ma pur sempre destinato a un pubblico pagante per cui l'artista lavora...
Ho perso le 60 righe di risposta perché la pagina si è ricaricata.
In poche parole quello che volevo dire è: la messa in scena è ciò che rende speciale l’opera.
Senza di essa non avrebbe la stessa potenza evocativa ed emotiva.
Tutto qua.
Vado a bestemmiare in bagno.
Oddio ahahaha mi spiace un sacco, avrei tanto voluto leggerle... Mannaggia...
È stato di sicuro il caustico cinefilo ad hackerarmi il computer. XD
Confesso, sono colpevole ahahah
Aahahahahah XD
Comunque, @Leman
Bah, la teoria secondo la quale criticando una corrente specifica si finisca implicitamente per negare ogni autorità, dignità e valore alla filosofia in generale mi giunge nuova e inattesa (e non mi pare infatti di avervi offerto alcun appiglio…). Ha un che d’intrigante, devo ammetterlo. Sarebbe come dire che, criticando, non so, il romanticismo, uno si mette a criticare anche la letteratura in quanto tale, in quanto mezzo, nella sua totalità… C-cosa…??
Inoltre, esistenzialismo è corrente precisa. Quella corrente che si interroga sul senso della vita e guarda caso non lo trova. Quindi si incartapegora in “ragionamenti” via via sempre più chiamiamoli “arditi” sino a giungere a “diagnosticare” la suprema insensatezza e vacuità della nostra esistenza, il che non può che condurre allo schifo prima, al rifiuto e alla depressione dopo; e alla malinconia, alla rassegnazione, alla sofferenza in ultima istanza. Si comincia a svalutare la realtà (che tanto è solo un’illusione e per di più insulsa, no?) e si inizia a perdersi in un mondo di fantasticherie, cominciamo a meditare perfino il suicidio. Non a caso, lo stesso Sartre (esempio) ha poi corretto il tiro, e da questo pessimismo senza vie di scampo è passato ad un pessimismo “temperato” che contempla anche l’opportunità di agire e intervenire nel mondo, di rendersi partecipi della vita pubblica, insomma di vivere con gli altri trovando così in questo quel “senso” così tanto agognato. E menomale!
Invece, quelli come Kaufman non fanno altro che “rigirarsi” nel loro pessimismo “cosmico”, intristirci e deprimerci con beghe sentimentali e umane che potrebbero tenere per le loro sedute di psicoterapia, e che alla fine si riducono sempre alle stesse premesse e conclusioni, variando al massimo massimo nello svolgimento (in questo caso per me poco convincente).
E sono sì partito da un sentimento di noia del tutto soggettivo per poi cercare di identificarne le cause, se vogliamo, “oggettive”: ovvero quella già dette. La descrizione “fisiognomica” ecc. era forse troppo ironica, ma alla fine volta ad “alleggerire” lo scritto, perché quell’alzata di sopracciglia soggettiva si è dovuta a quelli che erano messaggi, contenuti e modi di esprimerli che ho trovato fastidiosi… altri potranno trovarli invece convincenti e va benissimo così. Non pretendo di avere chissà quale verità in tasca, va da sé. Ho cercato per quanto mi è possibile di identificare quelli che reputo difetti e/o banalità della messinscena, ecco tutto. La noia è un fattore collaterale, ma scatenante le successive riflessioni, mettiamola così. Non mi sognerei mai di dire semplicemente “quel film m’ha annoiato”, punto e accontentatevi (so che non mi hai accusato di farlo, eh, sia chiaro).
@ilGranCinematografo
Posso solo dire, in estrema sintesi che nel mio caso invece il problema era anche riguardo il “che cosa” (mi rendo conto di essere in minoranza, al riguardo). E ritengo che il “che cosa” sia un fattore da valutare pressoché sempre (salvo che si tratti di evidenti porcherie). In questo caso, si sarà capito, l’ho trovato tanto poco convincente quanto la messinscena. Insomma, il dubbio lo mantengo anche sugli argomenti e non solo sul metodo col quale vengono trattati. E non è la prima volta nel caso di Kaufman.
Per il resto, ha perfettamente ragione circa il significato. Nel caso delle umane opere artistiche un significato lo si può trovare sempre – anche a costo di “stiracchiarlo” al massimo, di cavarlo fuori a forza, per così dire. Infatti, per l’appunto, il significato è una proprietà del linguaggio, e quindi di testi, film, quadri, ecc. ecc.
Ah, sì chiariamo: nonostante in questo frangente anche il “cosa” non mi convinca troppo, ci possono essere dei casi (rari) in cui invece effettivamente essendo riuscito lo stile (ovvero il "come") a convincermi, pur non condividendo magari certe riflessioni o conclusioni arrivo comunque a promuovere un film, ammesso ovviamente che tali conclusioni non siano proprio aberranti e abominevoli (come nel caso, per restare in tema, di Rambo 2). E questo in quanto il cinema come giustamente dice @ilGranCinematografo è prima di tutto immagine, e quindi serve la capacità di saper mostrare, e talvolta può bastare solo quella e poco più (vedi Per un un pugno di dollari :)). Peccato che non sia questo il caso. Qui sia la forma che il contenuto non sono affatto memorabili.
PS: a mo' di scusa per l'hackeraggio, un consiglio: scriversi sempre a parte il commento e poi copincollarlo. Sennò non se ne esce (anche a me è capitata un paio di volte agli inizi la fregatura del refresh, quindi capisco fin troppo bene).
Purtroppo credo che non potremo essere mai d’accordo su questo in quanto abbiamo due visioni dell’esistenzialismo e della filosofia totalmente opposto, quindi è giusto essere in disaccordo pure su questo film.
Spiego meglio solo il concetto della filosofia: io non credo che denigrare una corrente porti a svalutare tutto il macro-argomento.
Il mio problema è che le critiche che tu applichi all’esistenzialismo sono alla base di qualsiasi corrente o pensiero filosofico.
È come criticare un film perché “si basa troppo sulle immagini per narrarti la storia” quando l’essenza stessa del cinema è proprio quella.
qua si vola alto nei temi che tratta il film,comunque ostico ,un'opera che ti frulla nel cervello e nella psiche....comprendo benissimo chi non l'abbia sopportato....e' divisivo e a stento sono arrivato alla fine.Grazie comunque del sincero commento.
Che bella espressione "un'opera che frulla nel cervello e nella psiche"....questo profluvio di commenti contrastanti mi ha altamente incuriosito! Stasera mi guardo il film.
Facci sapere grazie...
Confermo: ostico.
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