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An American Pickle

Regia di Brandon Trost vedi scheda film

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La recensione su An American Pickle

di mck
8 stelle

"1-800-0-DEPORT". Via Salaria: StairWay to Heaven (ha-'Olam ha-Ba). Una commovente sciocchezzuola talentuosa di un’accomodante intelligenza trattenuta.

 

locandina

An American Pickle (2020): locandina

 

Sceneggiato da Simon Rich basandosi s’un suo racconto del 2013, “Sell Out”, questo “An America Pickle” (la cui giusta traduzione sarebbe una fusione semantica fra “un Sottaceto Americano”, non pienamente corretto dal PdV gastronomico, e un più preciso, ma ben poco orecchiabile, “un Cetriolino in Salamoia Americano”), l’opera prima in a solo alla regìa di Brandon Trost (direttore della fotografia per Rob Zombie, Seth Rogen & Evan Goldberg, James Franco, etc…), si situa a mezza via fra “Sleeper” (“il Dormiglione”), il progetto di kolossal mancato/ridimensionato di Woody Allen, e una crasi all’inverso di “Being There” (“Oltre il Giardino”) di Ashby/Kosinski/Sellers e “Borat” di S. Baron Cohen e L. Charles.

- “Come tu piangi genitori morti se non dice preghiera per morti?”
- “Mi arrangio.”

La morale contenuta ed espressa dal film - racchiusa ed esaltata in una cornice delineata da uno schema preparatorio d’indagine che all’etica normativa preferisce quella descrittiva - s’intreccia, sovrapponendosi parzialmente, con quella del recente terzo romanzo di Nathan Englander, “kaddish.com”, tanto che le due opere giungono, in parte, ad un finale consimile: i rituali, come quello di “dire il kaddish” (in questo caso specifico il “kaddish del lutto o dell’orfano”), recitando le preghiere durante le liturgie funebri (o chiamando qualcuno a farlo in propria vece: e di questo passo si giunge, svoltato l’angolo, all’etica applicata rappresentata da “Alpeis” di Lanthimos), “creano un legame nel tempo che ci protegge dal caos”.

Seth Rogen (che co-produce con Evan Goldberg e James Weaver) si sdoppia ed occupa militarmente tutto il metraggio: ma lo fa alla grande. Alcuni bravissimi caratteristi, fra i quali spicca, nel prologo, Sarah Snook (“These Final Hours”, “Pieces of a Woman”), riempiono lo sfondo/contorno.
“Cameo” yentliano sui titoli di coda con/per Barbra Streisand.

 


Ottima fotografia (specialmente nel morchioso succitato prologo in 4:3) da John Guleserian (sodale di Drake Doremus, e poi al lavoro con Clea DuVall per “Happiest Season” e con Elizabeth Banks per il prossimo “Cocaine Bear”), buon montaggio dalla veterana Lisa Zeno Churgin (“Gattaca”, “In Her Shoes”, “the Old Man & the Gun”) e felice colonna sonora della giovane Nami Melumad (cui s’affianca il più sontuosamente orchestrale main theme composto da Michael Giacchino).

1-800-0-DEPORT

Via Salaria: StairWay to Heaven (ha-'Olam ha-Ba).

Una commovente sciocchezzuola talentuosa di un’accomodante intelligenza trattenuta.

   

* * * ¾

Specchi coperti e porta d’ingresso socchiusa. Larry, colletto strappato e un’ombra di barba, è appoggiato al piano di granito della lussuosa cucina a isola di sua sorella. Dice: – Mi fissano tutti, i tuoi amici continuano a guardarmi.
– Non c’è niente di strano, – risponde Dina. – Vengono, dicono cose gentili, si sentono a disagio e guardano.

Nathan Englander - “kaddish.com” - 2019 (ediz. ital. Einaudi, 2020 - traduzione di Silvia Pareschi). 

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