Regia di Henry Joost, Ariel Schulman vedi scheda film
Un'idea semplice, ma con un potenziale narrativo e visivo praticamente infinito, puntualmente ridotto alla mera struttura narrativa del blockbuster
I registi Jool e Schulman procedono sulla triste via delle occasioni sprecate: dopo l'app estrema di “Nerve” e il viscido virus di “Viral", arriva la pillola capace di scatenare un superpotere. Un'idea semplice, ma con un potenziale narrativo e visivo praticamente infinito, puntualmente ridotto alla mera struttura narrativa del blockbuster. Dunque nell'ordine: scena introduttiva ad effetto, due sequenze con poteri presi in prestito da altri format, spiegone dell'oggetto “magico", un altro paio di effetti speciali discutibili, e lieto fine. Ricetta semplice ma efficace, dato che l'azione, pur confusa e riduttiva, non manca, ma la vera ciliegina sulla torta è la lezione di vita di Jamie Foxx alla ragazzina, fuori luogo, evidente contentino che cavalca le mode politically correct; e questa triste tendenza di Netflix ormai è assodata. “The old guard" è un altro esempio di una collocazione forzata, invadente e ridondante di elementi etici, contro razzismo, omofobia e maschilismo. Tendenza che va a braccetto con un’altra forse più subdola: la concentrazione di tutto il potenziale in una sequenza. “Tyler Rake" ha stupito gli spettatori solo per il pianosequenza action serrato, e ciò è bastato a molti per promuovere la pellicola o uscirne dalla visione nel complesso soddisfatti. Molti film originali della piattaforma si strutturano a loro volta in microfilm, ovvero sequenze o scene dall'impatto visivo originale e spesso caratterizzati da virtuosismi, o in generale trovate spericolate. In “Project Power" la scena che aderisce a questa politica è ancora un pianosequenza, in cui la rocambolesca sparatoria del protagonista è filtrata nella visione da una resistente teca, in cui è rinchiusa una donna morente. Un escamotage visivo e concettuale da far venire i brividi, basato sulla dualità della visione, con da una parte un combattimento in corso e dall’altra un coinvolgimento nella sofferenza di una persona congelata viva. Il resto del film invece procede frettoloso, ritmato, ma senza mordente, si accontenta di mostrare superpoteri già visti (di cui è uscita puntualmente la classifica di Watchmojo), non sfrutta Foxx, costretto nel suo solito personaggio duro ma con l’amore per la famiglia, e Joseph Gordon Levitt, vigilante disposto a tutto pur di assicurare la giustizia. Un divertissement che non si preoccupa della caratterizzazione e dell'attaccamento ai personaggi, ma combina elementi narrativi stantii, come l'evento traumatico mostrato mediante flashback. Un altro capitolo del cinema odierno che non vuole cambiare le regole del gioco, invece si accontenta e ci marcia con le solite, sicuro del suo successo, certo che anche il pubblico si accontenta, e ormai la buona riuscita della computer grafica è un optional. Questo a tal punto che alla metamorfosi del villain mi sembrava di vedere “Van Helsing”. Infine la metafora pillole/droga non merita neanche una citazione. Attendiamo con ansia la prossima scena d'impatto da vedere e rivedere su YouTube. Non il film, ci mancherebbe.
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