Regia di Henry Joost, Ariel Schulman vedi scheda film
Project Ordinary, or Ordinary Project, ovvero l'apoteosi del dejà vu. D’altronde, sin dalla lettura del titolo ci si rende conto di non trovarsi propriamente dalle parti della più eclatante originalità.
Tuttavia, una volta superato “l’orrore” per la banalità del titolo, e chiuso (più di) un occhio circa i saccheggi spudorati da tutta una lunga serie di cinematografia precedente (basti pensare soltanto a Limitless), si può concedere che – in un’ottica di puro intrattenimento senza costrutto – l’idea alla base risulti anche in certa misura apprezzabile.
Proprio per questo motivo, però, si è indotti a pensare che avrebbe potuto offrire la sponda alla realizzazione di un film meno anodino e più appassionante di questo, in ultima analisi nulla più che una sorta di lungo “prologo” di eventi più intriganti a venire.
Project Power, in sintesi, non cava il massimo dalla sua pur derivativa premessa. La storia è quanto di più risaputo si possa concepire e immaginare (ed è un semplice pretesto); la sceneggiatura non sembra sapere sempre bene dove andare a parare, talvolta scivola in un sedicente umorismo di grana macroscopica fin quasi imbarazzante (del genere di quello di certi filmetti Marvel) e per di più regala una galleria di personaggi stereotipati e monodimensionali (specialmente nel caso dei “cattivi” pallide sagome di cartone); la regia è del tutto anonima e non molto in grado di gestire al meglio le scene d’azione (quando non confusionarie, decisamente standard); gli attori paiono in linea di massima alquanto svogliati (d’altra parte, visto il materiale col quale si son trovati a lavorare…).
Insomma: l’apoteosi del dejà vu si congiunge in perfetta commistione con l’apoteosi della genericità.
Ciononostante, quasi incredibilmente in certi punti e in certa misura il film riesce persino a divertire, in particolare nei primi minuti con la comparsa d’una specie di “Torcia Umana” extra-Fantastici Quattro (ma almeno un’altra “mutazione” è da ricordare: l’uomo invisibile).
Ma sono proprio questi momenti vagamente più “riusciti” ad indurre a pensare che si sarebbe potuto fare di meglio, magari con dei registi e sceneggiatori migliori (se il film è stato prodotto a partire da uno “spec script” [una sceneggiatura non commissionata da nessuno] dell’esordiente Mattson Tomlin [il quale, per misteriosi ed insondabili motivi, pare in procinto di divenire una delle prossime promesse di Hollywood], si sarebbe almeno potuto assumere qualcuno per rivederlo; mentre pure la scelta dei registi rimane un altro oscuro mistero). Lavorandoci su, si sarebbe raggiunta molto probabilmente quantomeno la sufficienza.
Così com’è, invece, questo Project Power si dimostra un chiaro esempio di film medio(cre). “Guardabile” (ammesso voglia dire qualcosa), ma nulla più. E, ovviamente, solo se si è nella famigerata “giusta predisposizione mentale”, che come sempre prevede un repentino e vivacissimo regresso generalizzato di tutte le cellule celebrali.
Necessario, se non altro, per soprassedere circa l’improbabilità della storia (ad esempio, in assenza – va da sé – di qualsivoglia riflessione “psico-sociologica” in merito all’autodistruttività dell’uomo, della dipendenza, rimane – tra le tante – la domanda cardine del perché mai la gente possa voler assumere una pasticca senza neanche sapere che effetto farà, col rischio di esplodere, prendere fuoco o altro [perché non si può sapere se si otterranno davvero dei “superpoteri” utili alle date circostanze, e dunque anche tutto il piano del detective risulta alquanto ridicolo
[SPOILER:anche se,guarda caso, diventa antiproiettile proprio quando gli serve… FINE SPOILER]).
S'è detto abbastanza. Costato pare la bellezza di 85 milioni di dollari, Project Power, dopo i fallimenti di The Old Guard e Tyler Rake, rappresenta un nuovo passo falso per il cinema di intrattenimento targato Netflix 2020.
"Ma chi me l'ha fatto fare, mi chiedo..."
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