Regia di Fernando Spiner vedi scheda film
TRIESTE SCIENCE + FICTION FESTIVAL 2020
"prima si crea un mondo perfetto. Poi lo si popola".
La notizia della morte dell'anziano padre, spinge l'argentina Ana a far ritorno da Roma nel proprio paese natale, dove deve anche risolvere alcune problematiche legate all'eredità del genitore.
In loco la ragazza ha modo di incontrare uno scienziato molto amico del padre, il dottor Benedetti, che le confida una incredibile scoperta, in grado di permettere alla ragazza di poter rivedere il genitore, entrando in una nuova dimensione nella quale la morte non è più in grado di costituire una separazione nei confronti di chi vive.
Ma Ana teme che tutta quella incredibile storia nasconda una truffa intentata per cercare di approfittarsi della situazione, e si trova sbilanciata e perplessa tra gli effetti di quella nuova rivelazione, e una cautela che il suo istinto le suggerisce di mantenere.
Immortal è il lavoro più recente del regista argentino Fernando Spiner, conosciuto internazionalmente per il suo thriller fantascientifico del 1998, La sonàmbula, in cui il cineasta si concentra sul mistero della morte, sul trauma che una scomparsa genera su chi resta, e sui misteri che si celano dietro al tentativo di separare questi confini naturali e fisiologici che un evento definitivo come la morte genera, addossando su chi rimane senso di impotenza, dolore e una sensazione di perdita che spesso genera un senso di vuoto incolmabile.
Spiner tenta di coniugare l'ostentato realismo della sua messa in scena, con una materia misteriosa in cui il soprannaturale, intangibile e oscuro, fa da padrone.
Il risultato è un film un po' fumoso ed intricato, che mantiene un certo fascino, ma anche un inevitabile sensazione di mancanza di risultato, inevitabile quando la posta in gioco è piuttosto rischiosa ed impegnativa, concentrando la propria riflessione cardine sul concetto di eternità a cui l'uomo amerebbe tendere come desiderio definitivo.
Il film ha un incipit teso ed incalzante, con i paradossi temporali narrati ed esplicitati allo spettatore con la storia dell'esperimento mentale noto come “Il paradosso del gatto di Schrodinger”, e la teoria dei due universi che cercano di stabilire un contatto, ma poi la vicenda si perde tra l'intrigo giallo e le questioni familiari, perdendo parte del mordente e dell'inquietudine che il mistero dei due universi era riuscito a creare nello spettatore.
Tra gli interpreti, Belén Bianco, Daniel Fanego e Diego Velàzquez, tutti un po' sottotono, vittima di quella necessità di realismo esasperato e di quella confusione narrativa che divenfgono gli strumenti, e pure gli espedienti, con cui il regista tenta di creare il contrasto utile per descrivere lo scontro impossibile tra due dimensioni contrastanti ed inconciliabili.
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