Regia di Daniele Misischia vedi scheda film
"A Bobbio, mai!"
Ricorderò per sempre (per lo meno sino a quando non lo dimenticherò) l’aver assistito al secondo lungometraggio (dopo “the End? - l’Inferno Fuori”) di Davide Misischia, classe 1985, come l’irreversibile occasione in cui un film, questo film, ha mandato prima in sovraccarico e poi in cortocircuito il mio - già compromesso dall’esperienza con tutte e sei le annate di “Lost” - senso critico…
[un po’ il contrario ribaltato speculare di ciò che accadeva a Cartman nel 5° episodio - “How to Eat with Your Butt”, ovvero: “Come Mangiare col Culo” - della 10a stagione di “South Park”, nel quale, per via di un avvenimento letteralmente troppo divertente, il bambino perde la capacità di ridere: riesce ancora a capire quando una situazione è comica, però lo stimolo liberatorio della risata non s’innesca più (dovrà intervenire suo malgrado Ben Affleck, anch’egli affetto, o almeno così sembrerebbe, dalla Sindrome da Torsione Polare, una rara malattia congenita caratterizzata dall’averci la faccia al posto del culo e il culo al posto della faccia: un po’ – e di nuovo, al contrario - quel che mi è accaduto (d’altronde ogni generazione si merita il proprio Drive In, Bagaglino, Striscia la Notizia e Zelig) con “LOL - Chi Ride è Fuori”: dopo quello son tornati a farmi ridere (Brumotti che le piglia di brutto invece non ha mai smesso di mettermi di buonumore) persino Panariello e Martufello]
…verso il cinema, vale a dire: il lavoro, pardon, il prodotto è talmente - nell’ambito del mainstream e non delle produzioni indipendenti - brutto che adesso non so più stabilire se e quanto (spoiler: tanto) lo sia veramente: è sufficiente Pasquale “Lillo” Petrolo che fa per una dozzina di volte consecutive, con sapiente gioco di spalla, gomito e polso, il gesto di spingere avanti e indietro l’avambraccio tenendo la mano a pugno col dorso inarcato verso l’alto accompagnando la prestazione da un fischio in sintonia con la dinamica dell’andirivieni dell’arto superiore a rendere potabili le quasi due ore...
[te lo assicuro, fedele lettore (cit., per rimanere in ambito horror), ogni fottuta sequenza potrebbe essere accorciata di un 10-20% di tempi morti, inquadrature prolungate e tagli ritardati senza che niente di nulla, della narrazione, andrebbe "irrimediabilmente" perduto]
...messe in scena da una regìa (dis)persa, da dei dialoghi bislacchi, frastornanti, frustranti, incoerenti, fuori posto/luogo e sganciati dall’azione, da una sceneggiatura (scritta a millemila mani, ma non quelle del regista, qui “relegato” quasi del tutto a semplice realizzatore: oltre ad Antonio e Marco Manetti è opera anche di Paolo Logli, Alessandro Pondi e Cristiano Ciccotti) per forza di cose/genere ultra derivativa…
[partendo da un H.P. Lovecraft fagocitato dall'immaginario fumettologico, e districandosi poi fra l’età “adulta” di un Peter Kolosimo “pupoavatiano” e delle “Luci Lontane” di Guido Chiesa da Giuseppe Pederiali e il “trittico” adolescenziale composto da “Explores” di Joe Dante, “Flight of the Navigator” di Randal Kleiser e “Invaders from Mars” di Tob Hooper che inevitabilmente sfocia nell’oggi del “Super 8” di J.J. Abrams e del “Rim of the World” di McG, avvicinandosi più a un lavoro come “Proximity” di Eric Demeusy piuttosto che a quel piccolo capolavoro di Andrew Patterson che porta il nome di “the Vast of Night”, giungendo sino alle radici archetipiche (la "Deliverance"-burinità è un concetto cosmpolita) di "the Wicker Man", già erpicate/sarchiate da "MidSommar" e da... "A Classic Horror Story"]
...anche se a suo modo “coraggiosa” (e questa è un'aggravante, perché il film poteva davvero essere, con poco - regìa più controllata, dialoghi meno idioti e montaggio diversamente selettivo -, un poco migliore, insomma: non respingente), dal resto della squadra già “rodata” al lavoro sul set di “the End? - l’Inferno Fuori” e di molti film a firma Manetti Bros...
[la fotografia un po’ piatta e succedanea di Angelo Sorrentino, il montaggio che, come già detto prima/sopra, poteva e doveva intervenire maggiormente col salvare il salvabile, di Federico Maria Maneschi (da “Don Matteo”, “il Commissario Rex” e “l’Ispettore Coliandro” a “Diabolik”, passando per “Song ‘e Napule” e “Ammore e Malavita”), e le musiche di Isac Roitn]
...e da una recitazione “coerentemente/filologicamente” [a parte la già citata metà di Lillo & Greg (che davvero fa quel che può, cioè sé stesso, e financo funziona), i sempre bravi - e marcobellocchiani, rispettivamente, dell'ultima e della prima ora - Giovanni Calcagno (“Anna” e “il Mio Corpo Vi Seppellirà”) e Giselda Burinato (“Finché c’è Prosecco c’è Speranza”), una Chiara Caselli generosissima che recita nel suo dialetto natale, il bolognese, e, tra i giovani, Nicola Branchini], da una parte, spaesata (anche se qui ad essere il più... spaesato e imbarazzato è il comune di Bobbio), ma volenterosa (Tobia De Angelis, Amanda Campana, Luigi Monfredini, Beatrice Cevolani e Claudio Camilli), e dall’altra (il resto del cast) al limite del parrocchiale?
Per dire: l’interpretazione più intensa la danno una mucca stravaccata al pascolo che guarda in macchina e Cossiga appeso alla parete dell’ufficio del maresciallo dei carabinieri.
[Pablo Picasso (1881-1973): "la Prima Comunione", 1896 (anni 15) - "Scienza e Carità", 1897 (anni 16)]
Tra le tante citazioni/omaggi, il ramarro torturato da Olga (Nicoletta Elmi) e, per due volte, Jack sulla soglia che prima saluta Wendy e poi - con “replica” dei movimenti (schiaffi laterali SX-DX) della macchina da presa - sfonda la porta. E, tra i co-produttori, Francesco Guccini: no, scherzo, però Piergiorgio Bellocchio sì.
Una più che positiva menzione particolare per la realizzazione animatronico-prostetica dell'alieno antropo-mantideforme a cura dell'Apocalypsis di Sergio Stivaletti.
“A vent'anni si è stupidi davvero: quante balle si ha in testa a quell'età!” - F.G.
Insomma, a meno che non si tratti (spoiler: no) di un tentativo di replica / copia conforme hitchcock-vansantiana verso il cinema (quello sì genuinamente gonzo-movie) di Ed Wood, “il Mostro della Cripta”, del tutto sprovvisto anche solo di una parvenza dell'ecdotica che
Hélène Cattet e Bruno Forzani elargiscono, profondano ed esprimono col loro cinema, sembra – oltre che un (brutto) episodio de “l’Ispettore Coliandro”, che ha senz’altro e altroché un suo perché e un suo valore, contestualizzato al suo genere / campo da gioco, ma che in questo ambito, accostato al film, non costituisce un complimento – la versione malriuscita di un film che Spielberg o Shyamalan con lo stesso budget e troupe avrebbero potuto girare a 6 anni, solo che Misischia di anni ne ha 36.
“A 8 [alcune fonti riportano 4, altre 12, così ho fatto la media; NdR] anni dipingevo come Raffaello. Ci ho messo una vita intera per imparare a dipingere come un bambino.” - P.P. (semi-apocrifo)
Misischia a 36 anni ha imparato a girare... (i Manetti Bros dirigono il prologo e “impongono” la linea di regia costituita dall’accoppiata “drone + velocizzazione”, un loro must “televisivo” che, a parte casi eccezionali, rimane un pugno in un occhio; poi, che sia un “tributo” del regista ai suoi mentori o un automatismo produttivo, poco importa) ...come (il coetaneo) Lorenzo Lombardi.
Ogni generazione dovrebbe avere il proprio "Laggiù nella Giungla" (Stefano Reali, 1988).
“A Bobbio, mai!”
* * ¼/½ - 4.75
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