Regia di Daniele Misischia vedi scheda film
P.S., anzi ante scriptum: chi ha scritto questa recensione, eh già, ha appena pubblicato un libro, intitolato Bologna POLAR, in cui cita chiaramente Rupert Everett di Dellamorte Dellamore, soprattutto Anna Falchi. Amanda Campana è carina ma Anna stimolava di più l’ocarina...
Ebbene, oggi recensiamo Il mostro della cripta (The Crypt Monster), film della consistente, un po’ sfilacciata e forse prolissa durata di un’ora e cinquantasei minuti ad opera di Daniele Misischia.
Regista romano, classe ‘85, con all’attivo oramai un carnet filmografico di tutto rispetto e, soprattutto, una lunga serie di cortometraggi e lungometraggi, specialmente improntati in direzione orrifica, notevole per vastità produttiva, al di là delle nostre possibili considerazioni, positive o meno, in merito. Solamente per citare qualche suo titolo, End Roll e, ovviamente, la pellicola antecedente a tale sua nuova opus, ovvero The End? L’inferno fuori. Quest’ultimo, film non esente da molti e vistosi difetti, perfino grossolani, però non privo al contempo d’un suo particolare fascino naïf nient’affatto disprezzabile o irrilevante che dir si voglia. Opere, le sue, spesso intrise di sapido, macabro umorismo nero mixato a una buona conoscenza dei meccanismi narrativi tipici dei più famosi film dell’orrore e “di paura” contemporanei e non, internazionali o nostrani. Misischia, spesso, allestisce difatti grotteschi pot-pourri granguignoleschi forse non magniloquenti o precisamente compiuti magistralmente, eppur assai interessanti e, ribadiamo, affascinanti per gli amanti dell’underground cinefilo più esuberante di vividezza ricercatamente artigianale...
Il mostro della cripta è uno strambo, cosiddetto guilty pleasure piacevolmente, studiatamente rozzo e allo stesso tempo lontano, paradossalmente, da certe pellicole invece solamente dozzinali e ridicole involontariamente, che mescola arditamente, forse però non sempre perfettamente, commedia, action e horror in salsa, potremmo dire, citazionistica d’impianto nostalgicamente adolescenziale.
Quindi, Il mostro della cripta è perlopiù destinato a un pubblico di teenager amanti dei fumetti bonelliani à la Dylan Dog e affini similari. Dunque, conseguentemente, è un film dedicato non solo alle nuove generazioni, bensì anche, per l’appunto, ai ragazzi degli anni ottanta e novanta oramai cresciuti, perlomeno all’anagrafe, eppur irrimediabilmente legati alla loro adolescenza oggi finita da un pezzo ma giammai nell’animo loro davvero estintasi. Scritto a varie mani, cioè dai Manetti Bros. (Diabolik), alias Antonio & Marco, peraltro fra i produttori principali, assieme ad Alessandro Pondi e Paolo Logli con le collaborazioni dello stesso Misischia e di Cristiano Ciccotti, Il mostro della cripta è un film sperimentale molto coraggioso, va detto onestamente e riconosciuto, questo sì, lodatamente e obiettivamente senz’alcun ruffiano infingimento di sorta, che s’arrischia ad esplorare e tentare di rivivificare non soltanto l’horror, bensì molto Cinema del presente e del passato, centrifugandolo in molteplici generi a loro volta non solo cinematografici. Infatti, le citazioni contenute al suo interno non si limitano solamente agli ammiccamenti, per l’appunto, cinefili. Ma riguardano il pop tutto e guardano indietro in modo tout-court, sebbene molto alla buona...
Ma ora passiamo alla trama e non perdiamoci in sofistiche chiacchiere superflue. Per semplice comodità, ve la trascriveremo direttamente da IMDb, al fine di risparmiarci l’’impellenza e l’onere, in tal caso, di utilizzare parole nostre, in quanto la sinossi riportatavi, ci pare già efficace e precisamente concisa, assai pertinente e sufficiente a sintetizzare e centrare, a racchiudere, in pochissime righe, il fulcro focale della vicenda narrataci e da Misischia, in forma divertita e scanzonata, dinamicamente mostrataci.
Un adolescente secchione che sfoglia un fumetto vede paralleli tra la storia e gli orrori della vita reale nel villaggio in cui vive. Lui e alcuni amici cercano di indagare.
Ecco qui ora la nostra disamina. Ah, prima però approntiamo subito una piccolissima correzione alla lapidaria trama espressa da IMDb. Il protagonista non è affatto un secchione, bensì un nerd, vivaddio, sanamente ingenuone ma forse un credulone sognatore... Il mostro della cripta ovvia, e ci pare ovvio, al budget limitato, escogitando un paio di stratagemmi diegetici per niente malvagi, aggirando perciò tale suddetto ostacolo in virtù delle sue idee godibilmente strampalate che si rifanno, per l’appunto, a tutt’un immaginario d’apparato nostalgico e al sincretismo culturale che andava per la maggiore in quei convulsi, confusionari eighties rutilanti e casinari.
E, in questo, Il mostro della cripta è a sua volta emulativo di Stranger Things, diciamo, effettuato, anzi rielaborato però all’amatriciana con tanto d’ambientazione nell’assai italiana Bobbio, durante l’anno 1988.
Conseguentemente, è marcatamente, diciamo, maccheronicamente virato al provinciale con accenti relativi della Padania...
Bobbio, ameno e ridente, anche annoiato borgo emiliano-romagnolo di poco meno di quattromila abitanti in provincia di Piacenza, situato nel bel mezzo della Val Trebbia. Ove Marco Bellocchio ambientò il suo primo e considerevole film, I pugni in tasca. Bobbio è anche la città natia di Bellocchio.
Bravino il suo protagonista, più che altro simpatico, cioè Tobia De Angelis nei panni di Giò Spada, piacente la presenza dirompente e sgallettante, perfino pepata e piccante, della pimpante Amanda Campana nel ruolo di Vanessa.
A un certo punto, il nostro Giò, convintosi che il fumetto da lui letto e amatissimo, vale a dire l’albo fittizio, intitolato Squadra 666, scritto e disegnato dal suo idolo, Diego Busirivici (Pasquale Petrolo, più comunemente noto come Lillo), racconti una storia vera e non sia frutto di pura, spaventevole finzione mera, essendo disperato, fra l’altro dopo aver assistito al macabro omicidio, forse di natura rituale, della sua amica Sara (Alice Bortolani), violentemente squartata e morta dissanguata, decide di rivolgersi nientepopodimeno che a Diego stesso. Andando a trovarlo in corriera.
Curiosità: il fumetto Squadra 666 è stato creato ad hoc per Il mostro della cripta ma non è stato, naturalmente, disegnato da Busirivici/Lillo, bensì è stato ideato, congegnato e appositamente allestito da lekos Reize e Alfredo Castelli, quest’ultimo inventore del celeberrimo Martin Mystère.
Fra i produttori esecutivi, Pier Giorgio Bellocchio (da non confondere col Piergiorgio dall’identico cognome, costui letterato, scrittore e critico letterario), figlio del celebre regista Marco. E non per niente, difatti, in apertura di film, viene omaggiato Marco Bellocchio stesso. Il quale, come sappiamo e come ci viene puntualmente riferito, nell’incipit per l’appunto de Il mostro della cripta che lo omaggia, come sopra riportatovi, realizzò il suo primo film, assai importante e imprescindibile, cioè I pugni in tasca, esattamente a Bobbio. La cittadina ove, così come sempre sopra dettovi, se ne svolge gran parte dell’ambientazione.
Musiche di Isac Roitn, fotografia di Angelo Sorrentino.
I cinefili impazziranno di gioia e non solo nel districarsi nella miriade di citazioni che riempiono Il mostro della cripta. Che vanno dai poster di Non aprite quella porta, La casa e Moonwalker con Michael Jackson che campeggiano nella cameretta di Giò, alla locandina di Nightmare 4 - Il non risveglio, col terribile, eterno babau Freddy Krueger, arrivando, nettamente ammiccanti, a Ritorno al futuro - Parte II e al cult movie L’implacabile con Arnold Schwarzenegger. Senza dimenticare, ci pare ovvio e ci viene mostrato anche nel trailer, l’epocale Che cavolo stai dicendo, Willis?, tratto da Il mio amico Arnold.
Forse però il sapiente gioco “cinefiliaco” (usiamo lo stesso linguaggio giovanilistico e un po’ forzatamente gergale del film) di Misischia & company, sebbene arguto e ricercato, non basta pienamente a reggere il peso d’un film che parte in quinta, viaggia speditamente per la prima ora, carbura immantinente pur con molte ingenuità e alcune scene scontate ma, in tutta franchezza, poi si perde farraginosamente per strada, rivelandosi troppo lungo e spesso mal recitato dai comprimari. I quali si limitano a scandire i pezzi del copione, a loro rispettivamente assegnati, semplicemente preoccupati di non sbagliarne le battute più che sentirle e farle proprie veramente. Insomma, a nostro avviso, una recitazione decisamente parrocchiale, specialmente scolastica e non opportunamente diretta, degli attori di contorno, sciupa non poco Il mostro della cripta. Misischia, in tale circostanza, avrebbe dovuto avere più polso nell’imporre la sua direzione attoriale, altresì comprendiamo che, probabilmente, era più interessato ad organizzare, vagliare, ponderare e architettare l’intricata e complicata messa in scena e al doversi giostrare nell’uso difficile degli spazi e delle diverse location.
Dunque, questa sua discutibile distrazione registica, a riguardo esclusivamente, sia ben inteso, del lavoro sugli attori, gliela possiamo perdonare anche se col beneficio del dubbio...
Nel cast, Chiara Caselli as la “matta” Fabienne.
Gli echi e i riferimenti di cui è pregno Il mostro della cripta, ribadiamolo, sono svariati e innumerevoli.
Inoltre, è abbastanza palese che Misischia s’ispiri a maestri come Dario Argento e, notevolmente, Michele Soavi (Dellamorte Dellamore, La chiesa) deve averlo parecchio influenzato di ottimo ascendente.
Infatti, i trucchi e gli effetti speciali sono a cura del grande Sergio Stivaletti.
E abbiamo detto tutto, sinceramente.
Anzi no. Misischia sbertuccia, platealmente, due icone totemiche oramai dei nostri padri, cioè Nanni Moretti e il compianto (da chi?) Guccini.
Sostanzialmente, vuole implicitamente lanciare un messaggio inequivocabile: basta con la falsa cultura, tristemente sinistroide, dei boomer.
Personalmente, dei tristoni come Moretti e di Guccini, io non so che farmene, forse anche Misischia si è rotto le scatole. Ha ragione da vendere.
E ricordate: mai risvegliare dal sonno o dal letargo, una creatura “mostruosa”.
Sì, prima di augurarvi buonanotte, vi racconto un aneddoto riguardante il sottoscritto.
Il mio ex parroco, Don Giuliano, a sedici anni, durante la benedizione pasquale, entrò in casa mia e, per curarmi dalla “schizofrenia” di sua sorella e delle sue suore, mi consigliò di regredire e darmi a Topolino.
Qualche anno fa, Don Giuliano morì. Sono l’unico al mondo che, osservandolo dritto negli occhi, all’epoca, seppe che, dopo le prediche e le sue messe, la sera tardi andava con le topone.
Lo so, uno così mette i brividi. Ed è per questo che mi dicevano di soffrire di “danni neuronali”. La suggestione catechistica è un modo orrendo che hanno gli “adulti” di fermare ciò che non è umano.
Sì, non sono normale, ringrazio dio. I coglioni credono in Gesù.
Ah ah.
Di contraltare, se nella mia vita da peccatore, sbagliai, vi chiedo scusa e vi supplico di mettermi nuovamente in croce.
Ah ah. Volete bruciarmi come le streghe che vi siete sposati?
Ah ah.
di Stefano Falotico
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