Regia di David Bailey vedi scheda film
Fin da una delle primissime battute (in voce off, come da copione della scimmiottatura noir-chic), «C’è mai stata una fine, o almeno un inizio?», benvenuti alla fiera del più esausto kitsch cinematografico: un giovane sassofonista si aggira per strade e parchi della città ghiacciata e suona, perso dietro la sua musica, facendo da contrappunto alla vicenda; uno scippatore arriva sui pattini, in una scena notturna tutta flou; un gatto si chiama Rosebud; gli interni sono quelli di loft superarredati, abitati da giovani artisti (o simili, comunque straricchi); trionfi di calle in primissimo piano, un mucchio di jazz straesibito, grandangoli senza pudore. Tutto è bianco, vuoto, inutile; la storia banale, con fastidiosa strizzata d’occhio alla meccanica quantistica. Perché David Bailey deve oscurare la sua storia di fotografo dirigendo un film come “The Intruder”?
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