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L'estate di Kikujiro

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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La recensione su L'estate di Kikujiro

di Fabrizio_Giovanardi
9 stelle

C'è qualcosa di sublime nel cinema di Kitano. Un sublime che unisce le connotazioni critiche e post-moderne di Lyotard, che vedeva nel sublime il frutto di una sperimentazione fortemente materiale e affatto metafisisca, a quelle più tradizionalmente kantiane. Un'esperienza spiazzante, incommensurabile, che si manifesta in questo caso sotto forma di pura post-modernità cinematografica. E se questa forma concettuale è presente a più riprese in tutta la filmografia del regista giapponese, è tuttavia ne Il silenzio sul mare e in L'estate di Kikujiro che esso riesce ad emergere pienamente. Perchè queste pellicole lavorano sulla rimozione, sulla sottrazione, sulla liberazione dell'esperienza cinematografica da qualsiasi orpello prettamente narrativo. Le storie di questi film in particolare, così essenziali ma così potenti, rendono il messaggio esplicito: Kitano è un maestro dell'immagine. L'estate di Kikujiro ha una trama semplicissima: un signore goffo e bizzarro incontra un bambino che cerca la madre e i due si mettono in viaggio insieme per cercarla. Non serve altro. Eppure verrebbe da chiedersi come sia possibile che le costruzioni visive così barocche di blockbuster hollywodiani del calibro di Avengers: Endgame e degli ultimi capitoli di Star Wars non riescano a raggiungere neanche la metà della potenza visiva dirompente scaturita da un'inquadratura di due soli soggetti nei film di Kitano. Beat Takeshi ribalta il sublime kantiano, lo decostruisce e lo ricompone a modo suo. La potenza dell'uragano si trasforma in uno scirocco che increspa le onde, e l'incommensurabilità della montagna è mutata nella fin troppo misurabile figura di due ragazzi con una tavola da surf. Ma come possono immagini così semplici e così "spogliate" restituire un tale effetto? Zavattini avrebbe risposto che il segreto risiede nel rendere straordinario l'ordinario, ma i film di Kitano non sono opere neorealiste. Sono, piuttosto, forme altissime di stasi. Paul Schrader parlava di stasi quando si riferiva ai film di Ozu Yasujiro. E in effetti il parallelismo non è affatto forzato, dato che un film come Il silenzio sul mare potrebbe essere tranquillamente considerato una reinterpretazione del cinema trascendentale del maestro Ozu. Comunque, la stasi di cui parla Schrader non è altro che una sorta di sintesi tra vuoto e caos. Una sintesi che, nei film di Kitano, diviene trascendente. Il rapporto tra i protagonisti di L'estate di Kikujiro è fondato sull'attesa, sullo scambio silenzioso; si sviluppa maggiormente quando i personaggi non parlano e condividono il silenzio. Ed è straordinario come questa assenza di verbalità costituisca il processo di costruzione di una forza espressiva pronta a scoppiare nellle scene in cui compaiono anche altri personaggi, nelle quali lo scambio è reso soprattutto attraverso il mezzo del gioco. Il gioco che è soprattuto finzione ed emulazione, un elemento metalinguistico e anch'esso trasversale all'intera filmografia di Kitano. Il cercare di descrivere film del genere, che sono incarnazioni del cinema come mezzo artistico e trascendente, è veramente difficile. Parlare del silenzio attraverso la parola è sufficiente a romperlo. Pertanto non posso fare altro che sperare di aver incuriosito coloro che non l'hanno visto e tacere. Parleranno le immagini.

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