Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Il regista dei film crudi e violenti sulla malavita giapponese gira questa volta un film tranquillo sull'infanzia, l'innocenza, e in fin dei conti sulla bontà: sia quella del protagonista, che quella dei personaggi incontrati lungo la via nei confronti del bambino. E' una pellicola dallo stile un po' insolito, come straniato e rarefatto, popolata da figure strane e bizzarre, a cominciare dallo stesso Kikujiro. E' un uomo goffo, un po' sbandato, con dentro di sé una strana logica di comportamento, ma che ha le idee chiare quando si tratta di aiutare un povero bambino abbandonato dalla madre (e dal padre). Allo stesso modo, sono un po' strani anche gli altri personaggi. E' tutto il film, comunque, ad essere pervaso da un'aria molto originale e difficile da inquadrare. Qualche volta la strana logica che governa gli eventi della trama mi ha lasciato un po' confuso e perplesso, ma nell'insieme il film ha la sua forza e la sua nobiltà, come pure il suo stile rigoroso e l'evidente azione di un grande del cinema. L'originalità dell'opera mi ha ispirato cioè rispetto e desiderio di capire, anziché fastidio e avversione. Bisogna anche aggiungere che non sono pochi i momenti lirici, tutti sottotono e senza enfasi alcuna, proprio come sono questi momenti nella vita reale. Il più bello è l'incontro a distanza del protagonista con la madre, e il suo sguardo triste mentre scruta la vecchia donna attraverso i vetri. A margine, si può anche riflettere sull'effetto che certe scelte egoistiche dei grandi abbiano sui bambini, e sul desiderio innato di questi ultimi di conoscere i loro genitori. Si tratta di una piacevole vacanza di innocenza e poesia, per Kitano e lo spettatore, dove il primo ha sentito di dover mettere da parte per un attimo le raffiche di mitra e il sangue che schizza per parlare della sofferenza innocente di un bambino.
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