Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Un Kitano ad altezza di bambino, in cui l’ironia si confonde con l’ingenuità. Il teatro di figure surreali ed artificiose, che caratterizza le sue opere autobiografiche, diventa qui il mondo deformato da un sogno/incubo infantile, in cui la vita degli adulti si inserisce come aspetto a volte divertente, a volte spaventoso. Il colore è una nota espressionistica rivestita di una luce onirica: la sua superficie ha l’insulsa opacità e la sfacciata compattezza della plastica, però è addolcita dall’alone di un animo innocente e incline al sorriso. Questa magia rispecchia la natura ambigua degli angeli, che la fantasia dei cartoni animati dipinge come creature buone ed eteree, ma anche simpatiche e birichine. Questo scanzonato candore stempera e tampona la desolante cattiveria dei “grandi”, che sono egoisti, avidi, traditori ed imbroglioni, avendo perso il senso della bellezza della vita e del valore dell’uomo. Intorno al piccolo Masao ruota una colossale giostra di pupazzi, tutti variamente impegnati, nel bene e nel male, a mentirsi a vicenda e prendersi in giro: la finzione, alcune volte, è una pietosa illusione, altre volte è una vergognosa truffa, però la claunesca maestria di Kitano-Kikujiro riesce a far sì che lo spettacolo mantenga sempre la parvenza di una favola, così che basterà non crederci per farlo diventare innocuo. L’estate di Kikujiro è un road movie in maschera, che sembra prendere in prestito dal capolavoro di Benigni l’idea di trasformare la triste serietà della vita in un percorso giocoso e ricco di sorprese, che, ad ogni svolta del cammino, ci prepara una nuova promessa di vittoria.
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