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L'umanità

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su L'umanità

di mm40
2 stelle

In un paesino del nord francese un laconico e solitario poliziotto indaga senza fortuna sullo stupro e omicidio di una bambina. Anziché dedicarsi al suo lavoro, l’uomo preferisce innaffiare l’orto, fare escursioni in bici e chiacchierare con la vicina, di cui è innamorato pur essendo fidanzata.

Cos’è peggio in L’umanità, opera seconda di Bruno Dumont: la scrittura dei personaggi, vacui e privi di profondità psicologica; quella dei dialoghi, quasi sempre inutili; la narrazione sciatta, che respinge lo spettatore in tutti i modi possibili; il montaggio sostanzialmente casuale – si potrebbe modificare in altri cento modi ottenendo la stessa storia buttata via; l’evitabilissima voglia di scioccare con accoppiamenti sessuali abbastanza espliciti senza senso logico, oltre che con l’inquadratura iniziale della bambina morta; la trama thriller in cui la tensione non è che latiti, ma proprio non esiste; la trama rosa che non decolla mai, anzi non si capisce se ci sia o meno; la massa di luoghi comuni (incluso quello tanto caro al regista, che lo riproporrà a oltranza, del poliziotto pasticcione); la durata estesa inopinatamente a due ore e mezza; la recitazione disastrosa dei due protagonisti, Emmanuel Schotté e Severine Caneele, parzialmente perdonabili in quanto attori non professionisti; o infine la direzione degli attori, per l’appunto allo sbando? No, in realtà non sarebbe finita qui la lista di problemi che devastano la pellicola: ci sarebbe da aggiungere anche il doppiaggio inascoltabile che i distributori italiani hanno scelto di affibbiare all’opera, rovinando ulteriormente un film già rovinoso di suo. A Cannes nel 1999 non c’erano presumibilmente rivali, se si considera che L’umanità ha vinto sia il Gran Premio della Giuria che i riconoscimenti come migliori attori per Schotté e la Caneele (che infatti non avranno futuro nel cinema: lui smetterà qui, lei otterrà qualche piccola particina qua e là in titoli minori). Se l’esordio di due anni prima con L’età inquieta (1997) aveva lasciato intravedere in Dumont un autore interessante e innovativo, questo lavoro provoca una repentina marcia indietro; fortunatamente il Nostro riuscirà a produrre opere decisamente migliori negli anni successivi. 2,5/10.

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