Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
Due su due a Cannes, per lo svedese Ostlund, con gli ultimi suoi film, "The Square", 2017 e questo "Triangle Of Sadness": Palme d'Oro che hanno fatto discutere ma che, appunto, non riguardano opere neutre, inutili, banali. Ostlund, dopo lo splendido "Forza Maggiore", 2011, opera disturbante come poche, è passato a un Cinema ancora più complesso, stratificato, grottesco, a tema. "The Square", nonostante sia un film da vedere e discutere, zoppicava, anche per l'eccessiva lunghezza, e "Triangle" è figlio suo, nel senso che Ostlund ha poco senso della misura (due ore e mezza sono troppe) ma una straordinaria bravura nel dirigere gli attori e nel creare atmosfere solo in apparenza fredde o statiche. "Triangle" è diviso in capitoli, tre, e se il primo è introduttivo e mediamente interessante, ha il suo centro motore, la sua forza, in quello centrale, "Lo Yacht", dove la ferocia della sua satira anti capitalista (e già qui ci sarebbe da discuterne all'infinito) esplode in una crociera di super lusso, per super ricchi, dove le cose non andranno esattamente come previsto. Qui risalta un fantastico Woody Harrelson, attore che amo, americano, capitano marxista di una nave da crociera destinata agli abissi. Si accavalla il Cinema grottesco di Ostlund, spinto agli estremi, dove cadono, uno dopo l'altro, i miti del capitale, dell'edonismo e di tutti questi tempi orrendi che viviamo, fra infuencer e dominio dell'immagine. Bellissimo. "L'isola", il terzo episodio, consequenziale al secondo, per quanto intrigante e sempre "politico", allunga troppo il brodo finendo per annacquare un film altrimenti vincente. Un lavoro che ha gli stessi pregi e gli stessi difetti di "The Square", recitato, da tutti, benissimo, girato ancora meglio, ma che ha tanta, troppa, carne al fuoco. Sicuramente, però, è un Cinema raro, intelligente, dissacrante e provocatorio, che nella melma culturale in cui si trova il Cinema (e non solo) oggi è più che benvenuto. Da vedere, come tutto, di Ostlund.
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