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Triangle of Sadness

Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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La recensione su Triangle of Sadness

di barabbovich
6 stelle

Prendete Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto, aggiungete una spruzzata di trash in stile L'isola dei famosi, le dinamiche sul modello de Il signore delle mosche e lo humour nero di Parasite: quella che otterrete è l'opera terza di Ruben Östlund, autore di film geniali come Forza maggiore e The Square. Stavolta, però, il regista svedese si perde nella maniera di sé stesso, cercando di vellicare le inclinazioni weird dello spettatore, fino a scadere nella parodia. Lo fa con una storia articolata in tre capitoli: quella di Carl (Dickinson) e Yaya (Dean), coppia sull'orlo di una crisi di nervi. Lui è un modello belloccio, lei una influencer di successo. Partenza a razzo con mezz'ora di discussione su chi debba pagare la cena: fosse stato tutto così, avremmo gridato unanimi al capolavoro. E invece nel secondo capitolo il film fa leva sugli accadimenti che hanno luogo in una lussuosissima nave da crociera dove i due giovani si imbarcano: la furia delle acque rivolta gli stomaci e provoca una catena di vomitate (in una scena madre apparecchiata tra tavoli di gran lusso che riecheggia quella dello scimmione in The Square), dando fondo alla furia scatologica del regista. Come se non bastasse, arrivano anche i pirati che fanno esplodere l'imbarcazione. I sopravvissuti si ritrovano su un'isola deserta, dove i rapporti di potere si invertono: una cameriera filippina, addetta ai cessi, è l'unica che sa pescare e accendere un fuoco. Per cui è lei a dettare legge, costringendo Carl a farle da amante. Finale a sorpresa che ridà verve a un film di lunghezza eccessiva (due ore e mezza), nel quale il tema della lotta di classe, filtrato attraverso il prisma di un comandante della nave di fede marxista che spariglia le carte (Harrelson), è ridotto a banalissimo bigino a suon di luoghi comuni (l'oligarca russo, la mantenuta viziata, eccetera). Abbastanza, comunque, per piacere a Cannes, dove il film si è aggiudicato il massimo trofeo nonostante la sequela di allegorie di grana grossissima sulle aberrazioni del neoliberismo.

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