Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: TRIANGLE OF SADNESS
Dopo la visione di Triangle of Sadness ho capito come mai il Presidente della Giuria, Vincent Lindon lo abbia voluto premiare con la Palma D’Oro.
Perché il film di Ruben Ostlund è la somma, in versione paradossale e grottesca, delle tematiche che l’attore francese ha impersonato nella sua filmografia. Lindon ha rappresentato tutta la scala sociale, dall’operaio al dirigente, nei film “La Legge del Mercato, “In Guerra” e Un altro Mondo”. E secondo me, sotto sotto, lui si è un po’ identificato coi protagonisti ripensando ai tempi in cui lui era più famoso come fidanzato di Carolina di Monaco piuttosto che attore affascinante in cerca di celebrità.
Con Triangle of Sadness, Ruben Ostlund riprende la sua satira feroce nei confronti della società che con The Square valse la sua prima Palma d’Oro (2 su 2 un record, o abbiamo di fronte al nuovo Fellini oppure le giurie si fanno ammaliare come le persone che vengono ridicolizzate dallo stesso regista).
Se nel film precedente al centro c’era il mondo che gira intorno all’Arte Contemporanea, qui si va in pieno scontro di classe e di sessi.
Il regista divide il film in tre parti ben distinte che ha per protagonisti Carl e Jaja, due modelli che vivono imprigionati nella loro bellezza. Lui, che è stato al top quando i modelli erano quelli che conquistavano le prime pagine delle riviste di moda diventando testimonial di profumi famosi, è in fase di declino. Una situazione che soffre moltissimo.
Lei è l’influencer top del momento. Lei ha più followers di lui, lei guadagna più di lui, a lei offrono un viaggio nello Yacht più figo e lussuoso del mondo frequentato solo da personaggi più fighi e lussuosi del mondo.
E forse per questo motivo lui ha un “Triangolo della Tristezza” troppo pronunciato. Il triangolo che dà il titolo al film è quella parte, tra fronte e sopracciglia, che i modelli contraggono per sembrare più sexy quando si mettono in posa. O per sentirsi superiori se indossano un abito Balenciaga rispetto a un H&M.
Ruben Ostlund li usa a suo piacimento per mettere in evidenza le trappole sociali e le ipocrisie di cui siamo prigionieri.
Nella prima parte li mette uno contro l’altro a discutere su chi deve pagare il conto al ristorante iper di lusso.
Se lei che guadagna di più, che aveva promesso di farlo perché la sera prima lo aveva fatto lui oppure se il pagamento spettasse a lui in quanto uomo, in quanto la persona che alla fine fa il gesto di guardarlo.
Alla fine, lo pagherà chi ha i soldi nella carta di credito.
Questa lotta di sessi evidenzia una sceneggiatura al vetriolo (premio che sinceramente era molto più a fuoco della Palma perché è un film scritto benissimo), il botta e risposta è veleno allo stato puro.
Nella seconda parte, il regista li catapulta in un viaggio offerto a lei dallo sponsor e che evidenzia ancora di più il ruolo inferiore del belloccio Carl.
Lo Yacht diventa il non luogo dove far esplodere lo scontro tra una società capitalista che verrà portata alla deriva da un capitano americano marxista e alcolizzato.
Meraviglioso lo scontro a colpi di aforismi beccati sul web con lo smartphone, tra il capitano e un oligarca russo.
Ostlund, come un Marco Ferreri d’annata, fa abbuffare i suoi ricchi nel lusso e nell’ostentazione ad ogni costo per poi portarli alla deriva e farli sommergere nella loro merda e nel loro vomito.
Nella terza parte, quella più debole, punta sul ribaltamento dei ruoli sociali e in un’isola deserta i nostri cari ricchi e potenti dovranno sottostare al volere dell’inserviente Abigail che diventa “Il Capitano” proprio perché sa pescare un polpo, sa accendere un fuoco e soprattutto più di ogni altro sa cosa vuol dire sopravvivere.
Purtroppo, il regista si incarta ad un passo dalla trasformazione di un Parasite in salsa scandinava e manca quello che è il colpo del KO di questa commedia, comunque, molto corrosiva e caustica che può piacere o creare fuoriuscite corporali dai nostri orifizi proprio come è accaduto a tutti i protagonisti della storia.
Al sottoscritto, che è comunque uno di stomaco forte, il film è piaciuto anche se ha lasciato un certo senso di nausea finale.
Vabbè vado a mangiarci sù un bel piatto con un titolo simil film di Lina Wertmuller da uno chef stellato, rigorosamente accompagnato da Champagne e Selfie per i Social.
Voto 7,5
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta