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Triangle of Sadness

Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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La recensione su Triangle of Sadness

di alan smithee
4 stelle

Harris Dickinson, Charlbi Dean

Triangle of Sadness (2021): Harris Dickinson, Charlbi Dean

FESTIVAL DI CANNES 75 - CONCORSO Essere=apparire.

Il mondo della moda è uno dei pochi ambiti in cui la donna è più valorizzata dell'uomo. Una coppia di modelli ed influencer si ritrova l'una a godere di questo status privilegiato, e l'altro a subirlo.

Lo stress di quest'ultimo trabocca quando, dopo una cena in un ristorante milanese ove i due partecipano alla settimana della moda, il cameriere consegna all'uomo il conto, e la sua ragazza non fa nemmeno un gesto per offrirsi di pagare in suo luogo.

scena

Triangle of Sadness (2021): scena

Woody Harrelson

Triangle of Sadness (2021): Woody Harrelson

Ne nasce una discussione prolungata e paradossale che terminerà solo quando i due si ritroveranno, poco tempo dopo, in vacanza premio offerta dagli sponsor del social network in cui la super top model brilla di luce propria. Ma lo yacht di superlusso che li ospita assieme ad altri pochi ospiti ricchissimi quanto grevi e viziati, finirà destinato ad una brutta avventura in cui, tra l'incompetenza di un capitano inetto e di ideologie confusamente marxiste, ed un equipaggio lasciato allo sbando, sopravviverà non solo chi sarà più fortunato, ma chi saprà meglio adattarsi alle nuove regole di quel nuovo improvvisati microcosmo, che si erge a pena del contrappasso per la maggior parte dei sopravvissuti.

C'era da aspettarsi che il nuovo film di Robert Ostlund, dopo i successi ed i premi ottenuti con il controverso e astutissimo, oltre che un po' sopravvalutato The Square (la Palma d'Oro è stato un traguardo frutto di una scelta avventata della giuria per molti), facesse il botto. Ostlund sa come solleticare il pubblico e farlo impazzire con moine e furbizie ammiccanti di vario genere.

Woody Harrelson

Triangle of Sadness (2021): Woody Harrelson

scena

Triangle of Sadness (2021): scena

Meno comprensibile è come si possa continuare a ridere di scenette forzate e ripetute tra conati di vomito, cessi che spruzzano merda liquida, e tante altre facili amenità degne di un film natalizio di Boldi e De Sica. Qui si fa satira sui ruoli sociali, si dirà. Ma ciò non basta a rivalutare un film che tenta di ripetere la metafora di rivendicazione sociale di Parassite, e che sputa veleno sul mondo fatuo della moda e dei social.

Ma, se proprio andiamo a confrontare questo filmetto furbo sino alla più ovvia inconsistenza, con i primi film a tema che ci vengono a mente, sia che si pensi al Bunuel incontenibile de Il fascino discreto della borghesia, come al Bartel corrosivo di Scene di lotta di classe a Beverly Hills, sia all'ultimo sapido Altman di quel troppo dimenticato e sferzante (quello sì, altro che questo!) Pret-à-porter, ecco che, anziché farci venire le convulsioni dalle risa come è successo alla stragrande quantità del pubblico del festival, ci viene da piangere lacrime amare.

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