Regia di Domenico Saverni vedi scheda film
Le miserie ideative del cinema italiano generano un altro svogliato capitolo, il decimo, delle resistibili avventure del ragionier Ugo Fantozzi. La maschera di un mondo impiegatizio sincronizzato con l’Italia degli anni ’60 e ’70. Disastri e gag devastanti, personaggi ingialliti dal tempo, smorfie rattrappite dall’artrosi, equivoci spenti, sketch stagionati: la pensione è un diritto irrinunciabile anche per le attrezzature del racconto. Una ciocca di capelli, data in pegno alla moglie Pina, consente alla Megaditta di clonare e riportare in vita, con basco e mutande ascellari, il personaggio simbolo della sottomissione, della timidezza e della vigliaccheria. Ad attenderlo non c’è una storia, ma alcuni episodi in forma di trama slegata, non ci sono nuovi personaggi, ma i vecchi compagni di lavoro; dal passato riaffiora la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, dal futuro arriva un marziano. Il tono malinconico degli ultimi “Fantozzi” deborda nella tristezza cronica, sfogliando un album, un museo della caricatura. La confezione è piatta, la fotografia è sbiadita e distratta, le battute non fanno sorridere. Lasciate che almeno i comici riposino in pace. Al cinema ritornano gli zombi o i vampiri.
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