Regia di Frederik Louis Hviid, Anders Ølholm vedi scheda film
Il cinema danese, di solito corposo e ricco d'introspezione, riesce pure a sfoderare quest'ottimo "polar", tesissimo e dalle molteplici sottotracce. Due poliziotti, un quartiere ghetto (arabo) di Copenaghen e un giovane ucciso dalla polizia, volontariamente o involontariamente non si sa, e in fondo non importa, che scatena una sommossa. Facile il rimando ai fatti di Minneapolis e all'assassinio di George Floyd, con le prime sequenze che vedono la vittima esclamare più volte "non respiro", ma da lì, il film dei due registi prende una piega dura, ineccepibile, violenta. Trovatisi soli nel quartiere-fortezza, i due dovranno lottare per sopravvivere, certo, ma anche con la loro coscienza di esseri umani prima che di poliziotti. Il nascondersi fra i pertugi dei grandi palazzi, fra i corridoi e i sotterranei, è un po' un varcare i confini di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, tanto che alla fine rimane solo amarezza e dolore e un senso generale di sconfitta, per tutte le parti in gioco. Film splendido, recitato benissimo, come è solito da quelle parti, e teso come una lama. Molto più di un "polar".
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