Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Un bel film, serio e onesto. Si tratta, per me, di uno spaccato corale su di un qualunque pezzo della società media americana, lì degli anni ’60, ma ahinoi attuale ancora oggi. I giovanissimi protagonisti sono tutti tristi e disperati: per affermarsi devono picchiare, ma quantomeno si pongono di continuo delle domande, su come dar senso alla profonda angoscia in cui sono nati, loro malgrado. Poveri e ricchi, orfani e non, sembrano tutti accomunati da un peccato originale: quello di essere stati messi al mondo da individui, da famiglie, che non avevano la benché minima idea di quanto fosse impegnativo mettere al mondo i figli ed educarli. I genitori, gli adulti, sono a loro volta figli di un sistema educativo inesistente, di una sciatteria assoluta, tipicamente capitalista, tipicamente made in Usa. Il film mostra come poi sia ovvio che il prodotto di questo tipo irresponsabile di proliferazione sia disastroso: le vittime sono i figli, i quali tutti, a buon diritto, urlano contro le inadempienze di chi li ha messi al mondo. L’ottica è molto pessimista, certo: con una società e soprattutto una classe dirigente così, è inevitabile crescere male. Si salvi chi può, in mezzo a immani tragedie psicologiche, in mezzo all’unico gergo comunicativo che hanno imparato e che quindi rimane loro, quello della violenza. Ma tutti han bisogno di salvarsi, una volta venuti al mondo così: cioè han bisogno di trovarsi una via alla felicità, pur nei disastri in cui son capitati e rispetto a cui non avevano scelta.
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