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Il grido

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il grido

di yume
9 stelle

Vent’anni prima, anche trenta, Antonioni ha visto giusto. C’è il suo sguardo da lontano, una prospettiva rinascimentale si direbbe, dove tutto si dispone secondo precisi calcoli matematici.

Dalla torre in cui lavoravo vedevo la mia casa, il cortile dove giocava Rosina…”

 

Quella torre è il perno intorno al quale gira tutto il film, da lì si comincia e lì finisce la vita di Aldo ma anche quella di tante comparse che, più o meno silenziose, ruotano intorno alla sua vita fino a sparire.

Sullo sfondo moti di piazza, contadini e operai uniti contro il capitale che espropria le terre, sindacati in agitazione, gente che corre nelle strade di Goriano, si raccoglie sull’argine del fiume, il grande Po liscio e silenzioso, forza il cordone di polizia.

 

Tutto visto da lontano, dall’alto della torre bianca del cantiere, avvolta dal cordone nero della scaletta che sale, una carrellata muta sotto un cielo livido.

Solo Irma, in basso, grida “Aldo…”.

Pietà, ricordo di un vecchio amore consunto, rimorso.

Nessuno lo saprà mai, il suo grido si perde nell’aria, il pellegrinaggio di Aldo lungo le terre del Po, nel giro di pochi chilometri, finisce qui.

 

Antonioni è partito dalla terra di Ossessione, degli amanti senza storia e dei paesi dove di sera, quando la miseria sfuma nell’ombra e si accendono le luci, “ Guarda che bello che è Goriano, sembrerebbe che dentro la gente ci sta bene” dice il conducente del calesse che porta via Aldo e Rosina.

 

L’uomo si gira indietro a guardare, Antonioni arresta il tempo, è una scena breve, quasi un fermo immagine.

Poi il viaggio riprende.

Venti minuti di sequenze concitate, all’inizio, schiaffi, implorazioni, i perché disperati di Aldo a Irma che non lo vuole più, c’è un altro, gli amori finiscono, la piccola Rosina di sette anni diventa un fagotto muto da portare qua e là, prima dalla vita errabonda di Aldo, poi di nuovo a Goriano col nuovo fratellino del nuovo padre.

 

Poi silenzio, e un grido, alla fine.

scena

Il grido (1957): scena

 

Le vite scorrono sugli argini, a piedi, in pullmann, in carretto, sul retro del camioncino.

si viaggia verso gli anni del boom, i grigi, tetri anni ’50 stanno per intonare il De profundis, sta finendo il tempo della grande depressione, dei mulini sul Po, delle capanne che ci piove dentro.

Forse finirà anche quello degli amori inutili, Irma e Rosina, Elvia e Edera, Maddalena e Andreina, con le loro piccole vite senza qualità stanno per cedere il passo a borghesi annoiate, donne di un demi-monde narcotizzato, alienato, diversamente infelice.

 

Il neorealismo sta tirando le cuoia, c’è poco da indignarsi, poco da empatizzare con questi anti-eroi sulla scena.

Tra poco ci sarà il silenzio spettrale di periferie vuote all’alba, dopo notti da sballo al suono del sax di Gaslini, per ora nascono i partiti, l’Ungheria fa le sue stragi, Elvis impazza e “Oltre le strade sfavillanti c’è il buio, e oltre il buio il West” proclama Kerouac, ma Aldo non può sentirlo, anzi, butta all’aria i volantini che parlano dell’Eldorado dei poveri, il Venezuela.

 

Per un attimo l’ha creduto possibile, ma un eroe di Antonioni che compia il possibile deve ancora nascere.

Vent’anni prima, anche trenta, Antonioni ha visto giusto.

C’è il suo sguardo da lontano, una prospettiva rinascimentale si direbbe, dove tutto si dispone secondo precisi calcoli matematici.

Antonioni “mette in scena”, dispone la macchina e guarda.

Se necessario, come nell’ultima sequenza di Professione reporter, ricorre all’inganno visivo, sfonda una grata della finestra per far passare il carrello, ma lo sguardo è sull’uomo, senza commozione, senza tallonamenti, ma senza distrarsi mai.

 

Mi trovavo di fronte a questo problema: un uomo che ha cercato di cambiare identità e ritiene di aver mancato questo tentativo, si è steso sul letto come se si disponesse ad essere morto, orizzontale. Non saprei dire perché, ma ho sentito il bisogno di non staccare mai la macchina perchè è un momento in cui, molto probabilmente, questo individuo sente che la morte si avvicina e l’affronta con molta calma. Per esprimere questa calma avevo bisogno di rimanere su di lui continuamente e sulle cose che avvenivano intorno a lui come se fosse lui stesso la camera che recepiva”.

 

Parole del regista che ,nell’ ’85, spiegava quell’ultima sequenza.

David Locke (Jack Nicholson) di Professione reporter eAldo (David Cochran) de Il grido sono uomini che marciano verso la morte, autoinflitta o meno, poco cambia.

Cambia il grido che diventerà muto.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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