Regia di Mario Bava vedi scheda film
Un telefono rosso dondola nel vuoto, l’inquadratura si è appena ristretta dopo averci mostrato le ultime vittime di una lunga serie di omicidi, il telefono si muove avanti e indietro come a voler ipnotizzare lo spettatore ma ormai lo spettacolo è finito, a Mario Bava non resta che certificarlo con l’immancabile didascalia…FINE.
Sei donne per l’assassino, un titolo che è una dichiarazione d’intenti e la fotografia bordata di rosso di una storia thrilling, un plot che esplicita un elementare base narrativa alla quale il regista si attiene in modo ferreo, rispettoso delle rigide regole autoimposte, diversi personaggi in scena, un assassino misterioso e "senza volto", sei donne destinate a morire nei modi piu disparati (e disperati), ad una superficiale lettura il film sta tutto qui.
E invece ci troviamo di fronte ad un opera importante, in primis nella filmografia di Bava ma più in generale nello sviluppo di un genere (il giallo all’italiana) che al tempo si affacciava titubante nel nostro panorama cinematografico, un genere non ancora definito nelle sue regole primarie, nella sua fisionomia ed essenza, ma che proprio grazie a Bava segnava importanti linee guida, poi riprese e ampliate da altri registi (Dario Argento su tutti).
Del resto Bava già un anno prima si era decisamente lanciato in questa direzione con il sorprendente La ragazza che sapeva troppo, opera ancora in bilico tra una forma più classica con influenze gotiche e un nuovo sguardo più contemporaneo, con Sei donne per l’assassino il passo in avanti è di quelli decisivi, un film che è un perfetto ibrido tra vecchio e nuovo, un opera forte dove l’aspetto thrilling prende il sopravvento, dove il sadismo della messa in scena diventa elemento trainante della rappresentazione, dove la paura può mutare in orrore puro.
Fin dai titoli di testa risulta chiaro che i protagonisti sono delle semplici pedine da muovere su una scacchiera di morte, dei manichini colorati di rosso, verde e blu posizionati in punti strategici, nessun approfondimento dei caratteri viene messo in opera perchè il soggetto basilare (chiaramente inverosimile) non lo prevede, il tutto deve essere funzionale alla messa in scena, all’azione barocca ed eccessiva.
In un atelier di moda che sembra un castello dell’ottocento si muovono diversi personaggi, un certo Morlacchi (Cameron Mitchell) e la contessa Cuomo (Eva Bartok) sono i proprietari, poi abbiamo lo stilista Lazzarini (Luciano Pigozzi, che ricorda vagamente Peter Lorre), il sarto tuttofare Marco (Massimo Righi) e una nutrita corte di bellissime modelle, tutte o quasi destinate a morire nei modi piu sadici e violenti.
Durante i preparativi per una sfilata una delle ragazze viene brutalmente uccisa e questo evento darà il via ad una serie di azioni/reazioni che coinvolgeranno tutti i protagonisti, dietro gli omicidi si nasconde un misterioso individuo vestito di nero con maschera a deformare i lineamenti del volto, un killer spietato che si muove nell’ombra e di cui solo nel finale scopriremo l’identità.
Bava non è interessato alla logica della trama, per lui rappresenta solo una base sulla quale costruire il suo gioco al massacro, un incubo ancora una volta fotografato splendidamente da Ubaldo Terzano (fido collaboratore del regista), con colori eccessivi, vividi e potenti, il rosso, l’azzurro, il verde e il viola sono fondamentali nella creazione di un atmosfera onirica e quasi magica, decisamente irreale ma non per questo meno affascinante.
La regia è ancora una volta impeccabile, carrellate sinuose che delimitano interni ricchi di dettagli (ottime le scenografie), zoomate sui volti ambigui dei protagonisti, Bava si gioca tutte le sue carte sull’esaltazione dell’atto omicida, sulla fantasiosa creazione della morte, sei sequenze quasi indipendenti dove il regista dà il meglio di se stesso.
Sei donne per l’assassino è il prototipo di un genere, o se vogliamo di un sotto-genere, lo scheletro di un qualcosa che negli anni successivi verrà preso come corpo base e rimodellato (smontato e rimontato) secondo le visioni di altri registi, un film che fa dell’estetica la sua vetta artistica e che va quindi goduto prima con gli occhi e poi con la mente, trama inverosimile abbiamo detto, esile come i lineamenti di un manichino, attori non sempre all’altezza, ma messa in scena da togliersi il cappello, fotografia grandiosa e musiche accattivanti firmate Carlo Rustichelli.
Se amate il primo Argento è un film che non potete perdere.
Voto: 7.5
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