Regia di Michael Duggan vedi scheda film
Fanculo tutto, fanculo il sistema, fanculo il mondo e poi il giovane protagonista va ad Harvan e fa palate di soldi monetizzando la sua immagine social. Fanculo l'American way of life... è meglio.
Fanculo tutto, fanculo il sistema, fanculo il mondo e poi il giovane protagonista va ad Harvard e fa palate di soldi monetizzando la sua immagine social. Il film, dopotutto, è molto sincero, soprattutto quando fotografa il disorientamento e lo squilibrio della Generazione Z raccontandolo attraverso la poetica della distruzione come in Donnie Darko (Richard Kelly, 2001) con l’unica differenza che il film di Kelly era molto più critico, più politico e per nulla assolutorio, tanto da essere oggi un cult movie per più generazioni, compresa la Z. Questa sincerità, che già il pubblico adulto fatica ad accettare – vuoi per invidia, vuoi per saggezza, vuoi per cinismo – purtroppo scivola sul finale quando il sogno americano, negato appunto dalla Generazione Z, si palesa nell’iscrizione ad Harvard e nella ricchezza facile ottenuta dalla monetizzazione della propria immagina social – cosa sono gli influencers se non prostitute? – ed ecco che il film svela il suo vero volto: una teen comedy che ammicca alla “rivoluzione” e al cambiamento radicale del sistema, per poi colpire sotto la cinta e ribadire, come un mantra, come l’arrivismo sociale e l’accumulo di ricchezza siano sempre fondamentali per la sopravvivenza in USA. È una vecchia storia che si ripete in ogni paese, noi, in Italia, la conosciamo come “la politica del Gattopardo”, cambiare tutto, perché non cambi nulla.
Un applauso invece, a Tristan Lake Leabu che oltre a scatenare l’inferno inconsapevolmente sa che il suo futuro è fare l’idraulico a Los Angeles e surfare il più possibile. Altro che Harvard. Altro che palate di soldi. Altro che nuovi piccoli Zuckerberg. Fanculo l'American way of life, va, che è meglio.
C’è anche “il mio amico Ultraman”, Jerry O’Connell, che non guasta mai.
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