Regia di David Ayer vedi scheda film
Il cinefilo è spinto ad adottare delle scelte che uno spettatore casuale non si sognerebbe mai. Infatti, questi amanti della materia filmica possiedono un’innata tendenza autolesionistica, che li spinge a tastare con mano anche quelle pellicole che ogni indicatore – esperienza personale, consigli altrui, nomi coinvolti - suggerirebbe di accantonare senza provare il minimo rimpianto.
Una curiosità perversa che raramente porta qualcosa di buono all’utente finale.
The tax collector (mi rifiuto categoricamente di chiamarlo Sangue chiama sangue) non intacca questa considerazione, per quanto mostri degli scostamenti – significativi ma tutto fuorché rigeneranti – nell’idea di cinema proposta in questi anni da David Ayer.
Los Angeles. David Cuevas (Bobby Soto) garantisce alla sua famiglia un alto tenore di vita con l’attività di esattore per la sua gang, una mansione che svolge coadiuvato dal suo braccio destro Creeper (Shia LaBeouf), un uomo privo di una qualsiasi forma di scrupolo o pietà.
Quando Conejo (Jose Conejo Martin) irrompe con violenza sulla piazza gestita da David, ogni equilibrio vigente viene messo in discussione.
Inizierà una guerra senza quartiere, che non risparmierà niente e nessuno, fino a quando una delle due parti non verrà estirpata alla radice.
Per David Ayer, The tax collector rappresenta un reset rilevante per le sue abitudini. Innanzitutto, passa dall’altra parte della barricata, accantonando del tutto il versante delle forze dell’ordine, che hanno demarcato i suoi primi film da regista (Harsh times – I giorni dell’odio, La notte non aspetta, End of watch – Tolleranza zero). In secondo luogo, ripulisce l’estetica rinnegando le sue esperienze più recenti e bizzose (Suicide squad, Bright).
Purtroppo, l’essenza rimane scadente, priva di mordente. Di fatto, The tax collector ha un impasto anonimo, è sostanzialmente ordinato e non compie passi più lunghi della gamba, ma ha anche scarsa trazione e la fase di riscaldamento – in pratica, quella in cui non succede nulla che scuota dal torpore – è prolungata oltre il limite consentito, minando irreparabilmente lo svolgimento.
Più in generale, la stessa messa in scena è così stabile da risultare monocorde e mancano attributi di peso, nonostante che, tra i legami di famiglia e gli affari sporchi, le gang e le gerarchie, i padroni e le pedine, esistano tutti i presupposti per scatenare un perpetuo pandemonio.
Inoltre, viene totalmente vanificato il personaggio assegnato a Shia LaBeouf, presentato come schizzato e feroce, sempre sul punto di mettere in atto un’esplosione che poi non avverrà mai (da qui, viene automaticamente da chiedersi la necessità di convocare un nome noto se poi non lo fai sfogare come potrebbe/vorrebbe/dovrebbe).
Per quanto detto, The tax collector ha un cabotaggio insignificante e una personalità limitata, riscontrabile esclusivamente nell’atto terminale della resa dei conti, una fisionomia ristagnante e liscia che non intende in alcun modo alterare - né tanto meno fortificare - un decorso privo di stimoli tangibili.
Impalpabile.
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