Regia di Spike Jonze vedi scheda film
L’esordio del regista Spike Jonze sembra quasi un punto di arrivo, contiene una riflessione meta cinematografica che colloca Essere John Malkovich nella nutrita categoria di film sull’argomento (alcuni dei quali hanno fatto storia) ma usa un registro leggero, con toni surreali e con trovate davvero creative evidenzia le contraddizioni del mondo dell’immagine. Craig, un burattinaio da strada, trova lavoro in una strana società. Scova dentro il suo ufficio un cunicolo che se attraversato trasporta direttamente nella testa dell’attore John Malcovich per quindici minuti. Il film è costruito magistralmente evitando di demarcare realtà e finzione, allontana da sé l’ossessione di rappresentarne la credibilità, e crea un intreccio divertente e amaro, molto più profondo e meno superficiale di quanto appaia. Gary, interpretato da J.Cusack, insieme alla collega intraprendente Maxine (Katherine Keener) di cui si innamora trascurando la moglie Lotte, una instabile Cameron Diaz, prima mette in piedi un vero e proprio giro d’affari permettendo a chiunque di vivere l’esperienza di transfert, poi trasferisce totalmente la sua personalità dentro il corpo dell’attore, interpretato da Malkovich stesso. L’apologo meta cinematografico è dunque dichiarato, ma prendendo in esame le dinamiche interne dei vari personaggi è davvero completo offrendo anche una teorica linea di fuga o di svolta che consente a Craig e alle due donne di rientrare significativamente nei propri panni. Con passaggi e snodi dal ritmo dinamico il racconto figurato lascia presto il campo a quello concettuale senza però farne perdere la capacità di attrazione, il protagonista diventa in breve il potere dell’immagine, connotando le metamorfosi dei vari personaggi con la gestione del ruolo che acquisiscono con l’immissione nella testa dell’immagine simbolo, la celebrità, John Malchovich. Egli stesso in una sequenza significativa vorrà vivere quell’esperienza e la regia sublima l’egocentrismo, la capacità di immedesimazione, l’onnipotente desiderio di interpretare qualsiasi elemento del mondo come un’infinita copia di sé stesso, cosa che denuncia e maschera anche la crisi di identità che si instaura fra l’attore e la sua immagine interiore ed esteriore Analogamente interessanti saranno gli sviluppi che riguardano le due figure femminili, portatrici di caratteri ed emozioni diverse ma in grado di completarsi anche quando il gioco di trasformazione cesserà. L’anziano capo della misteriosa azienda e i suoi amici non sono altro che coloro che contribuiscono alla creazione e al mantenimento del potere dell’immagine, sempre alla ricerca di rinnovamento per garantirsi una lunga linfa vitale. Infine Craig, artefice e vittima dell’operazione di mutazione, destinato comunque a subire quelli che sono i condizionamenti che la società moderna impone, cercherà di coronare i suoi sogni di successo e di amore, toccando il suo vertice più alto quando si impadronirà a tempo pieno della mente della celebrità (e qui la regia immette un bellissimo cambio di rotta nelle scelte artistiche del nuovo Malchovich), ma le regole del cinema, dello spettacolo, dell’immagine, prima o poi giungono ai titoli finali, a quando la loro sentenza fatta di materia dei sogni, ma soprattutto di illusione, riconduce alla realtà con la quale bisogna necessariamente fare i conti.
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