Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
La lezione antimilitarista impartita da Kubrick in "Orizzonti di gloria" ha influenzato i filmakers di tutto il mondo, non poteva quindi mancare il bersaglio con un regista di denuncia come Francesco Rosi specializzato nel raccontare le pagine più tristi della storia del nostro paese, in "Uomini contro" lo scontro armato fra italiani e austriaci durante la prima guerra mondiale delinea subito le asprezze della guerra in territori aridi e freddi battuti dagli uomini appesantiti dalle uniformi e l’equipaggiamento, in marcia su terreni accidentati avvolti dalla nebbia mentre l’occhio vigile e feroce del generale Leone interpretato da Alain Cuny intaglia lo schermo con la sua presenza che richiama per forma ed atteggiamento lo spietato generale interpretato da George Macready nel coevo kubrickiano, in opposizione alla sua impassibilità e spietata arte militare emerge l’umana coscienza dei sottoufficiali interpretati da un sempre in gamba Gian Maria Volonté e dal poco espressivo Mark Frechette, ma si sa che il suo approdo al mondo del cinema ha una storia molto singolare, entrambi i personaggi portano con loro il credo antimilitarista espresso con efficacia da Kirk Douglas e contrastano nella oculata analisi del piano da battaglia con il disumano agire del loro superiore, basta pensare alla scena in cui Volontè contravviene all’ordine di Leone e risparmia la vita con uno stratagemma ad un soldato ventenne che ha solo peccato di ingenuità o alla scena molto forte ed efficace in cui dice a Frechette di risparmiare la lenta agonia ad un soldato con il volto deturpato uccidendolo con un colpo a brucia pelo.
Rosi non si interessa ne del quadro storico appena accennato ne delle motivazioni che animano i militari, si limita a descrivere la guerra come un gioco assurdo in cui il mastro burattinaio è il generale accecato dalla prospettiva della gloria e malato di vittoria ad ogni costo mentre spinge le sue marionette infreddolite e consumate oltre la trincea, l’unico luogo che ha una parvenza di inviolabilità rispetto al fuoco costante oltre i reticolati, fra i boschi, sui crinali rocciosi, per i soldatini rivestiti di goffe armature di piombo che non vanno nella direzione ordinata c’è il plotone di esecuzione a gruppi di tre sempre per non far torto ad “Orizzonti di gloria”.
Un nemico invisibile che parla con il sibilo delle pallottole ed i boati delle mitragliatrici è sempre in agguato dietro i sacchi di sabbia con il fucile puntato verso una feritoia che il tenente Sassu ormai disgustato dagli ordini disumani di Leone gli indica come punto strategico da cui osservare il nemico nella speranza che giustizia sia fatta per coloro che vengono gettati allo sbaraglio quotidianamente ma la guerra non è una scienza esatta; Sassu con tale presa di posizione diventa man mano che il film va avanti il portavoce del messaggio che Rosi ci vuole dare e che culmina con la scena della ritorsione e del conseguente ammutinamento contro l’ufficiale che estrae a casaccio dal plotone i soldati da fucilare per presunta inefficenza.
La versione che circola in televisione è tristemente emaciata dal tempo, le scalfitture dei frames e l'opaco colore non fanno giustizia ad uno dei film bellici italiani più sinceri ed onesti degli anni settanta arricchito da un chiaro messaggio antimilitarista e dato che i grandi magazzini sono pieni di commedie rosa e film comici in DVD risalenti a quel periodo sarebbe il caso per una volta che si lasciasse nel dimenticatoio uno di questi film irrilevanti per dedicarsi al restauro di quest'opera di indubbio valore artistico e morale avvolta da un sottile alone di leggenda per la presenza del mitico Mark Frechette.
Apprezzabile soprattutto il lavoro sui campi di battaglia.
Attore per caso non fa scintille e non sfigura nell'ultimo dei soli tre film in cui recitò di facile reperibilità visto che "La grande scrofa nera" è introvabile, Mark Frechette era un hippie e trovò la morte in carcere a seguito di una rapina andata storta, le circostanze misteriose della sua scomparsa rendono la sua figura leggendaria, simbolo di una generazione maledetta.
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