Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
C'è una sola scena in cui si ride: quella in cui il tenente Sassu (Frechette) porta il generale Leone (Cuny) alla letale feritoia 14 e l'infallibile cecchino nemico non spara; poi il tenente riapre la feritoia, espone un pezzetto di legno e il cecchino austriaco lo colpisce in pieno; "Ma vaffanculo!" esclama deluso Sassu. C'è un'altra scena in cui si sorride, quella in cui i soldati brindano alla morte del generale Leone, il quale invece ricompare vivo e vegeto e domanda a quale lieto evento si stia brindando. Per il resto il film racconta la tensione, la rabbia, il dolore, la rassegnazione dei soldati mandati a quel mostruoso macello che fu la Prima Guerra Mondiale, prendendo a paradigma la vicenda del giovane tenente Sassu che, partito da interventista, si rende conto dell'assurdità della guerra.
Basandosi sul romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'altipiano", Rosi insiste sull'elemento classista della guerra: un ristretto gruppo di aristocratici alti ufficiali manda scriteriatamente al massacro la massa di contadini analfabeti reclutata per combattere la guerra che un'altra minoranza attivista ha voluto. Nel mezzo sta un sottile strato di ufficiali di secondo piano, che prende coscienza, oltre che dell'orrore, dell'ingiustizia della guerra, il cui peso ricade quasi totalmente sulle spalle di quei diseredati. Il capitano interpretato da Giampiero Albertini, i tenenti di Frechette, Volonté, Capponi parteggiano dentro di loro per questi ultimi, ne condividono le paure e le aspirazioni e sono insofferenti ad una disciplina assurda che costringe migliaia di uomini ad un inutile massacro. Nel film perfino i soldati austriaci, che stanno falciando gli italiani con la mitragliatrice dall'alto di una collinetta, smettono di sparare e gridano "Soldato italiano, perché ti fai ammazzare così? Torna indietro" ed è proprio l'occasione in cui il tenente Ottolenghi (Volonté) si ribella e incita i propri uomini alla rivolta contro il generale Leone. Questi è un generale all'antica, di stampo ottocentesco, che non ha paura di esporsi al fuoco nemico, un "dulce et decorum est pro patria mori" vivente, con una mentalità sballata e idee astruse, un visionario costretto a combattere la sua eroica guerra con scarpe di cartone e baionette arrugginite.
Anche il tenente Sassu, alla fine, verrà meno alla propria ferrea obbedienza alla disciplina militare e si ribellerà ad una decimazione ordinata da un altro ufficiale fanatico e forse sadico, il maggiore Malchiodi (Graziosi). Per questo sarà passato per le armi.
Ed anche Frechette è credibile come ufficiale proveniente dalla Sardegna (chiaro alter ego di Emilio Lussu). L'attore americano, classe 1947, aveva esordito al cinema con l'epocale "Zabriskie Point" (1970) di Antonioni. Questo di Rosi fu il suo secondo film. In quello stesso 1970 Frechette era già stato arrestato a Boston per avere preso parte ad una rapina in cui c'era scappato il morto. Rientrato in America, il 29 settembre 1973 partecipò ad un nuovo tentativo di rapina nei pressi di Boston, durante il quale uno dei suoi complici cadde ucciso dalla polizia. Frechette fu condannato a 15 anni di carcere e il 27 settembre 1975 morì nella palestra del penitenziario del Massachussets con la gola schiacciata da un bilanciere del peso di 150 libbre. La morte fu archiviata come un incidente. Frechette aveva appena 27 anni ed aveva girato tre film, tutti con registi italiani.
Molto bravo, anche lui come al solito, Volonté, costretto forse ad una morte troppo plateale.
Grandiosa, monumentale, come al solito, l'interpretazione di Alain Cuny che dà al suo generale Leone giusti accenti di inflessibile follia.
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