Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film
VENEZIA 77 - CONCORSO
"... girato nel corso di tre anni sui confini tra Iran, Kurdistan, Siria e Libano", cita la didascalia prima che un flusso di immagini, spesso anche assai suggestive o pregne di contenuto, ci coinvolgano in un viaggio lungo un centinaio di minuti diretto a documentare gli strascichi ed il dolore che la guerra civile, le dittature, i fanatismi, ogni volta addossano sulla povera gente, che è quella destinata a pagare il prezzo sempre più alto in termini di lutti e sofferenze, fisiche come pure morali.
Il problema, o la difficoltà che personalmente mi trovo in ogni occasione a cogliere col cinema di Rosi, è quello di riuscire ad entrare nel solco di pensiero che ha animato il regista in questo suo lungo percorso di ricerca, lavoro di assemblaggio in cui nulla è quasi mai programmabile con uno studio premeditato di sceneggiatura e scenografia, ma in cui tutto il materiale viene accumulato nel momento in cui l'azione o la ripresa si svolge o si coglie, ed il compito più arduo consiste in riassumere, tagliare, ricollocare e distribuire.
Trovandosi di fronte, quasi sempre, una matassa gigantesca e variegata di materiale girato, che occorre in seguito ordinare secondo un senso che possa attribuire, al risultato di sintesi finale, almeno un tendenziale appiglio narrativo. Appiglio che, tuttavia - per quanto mi riguarda, ormai si ripete ogni volta con i lavori di Rosi - stenta ad intuirsi, smarrendosi parte del filo conduttore e restando pertanto, da spettatori sufficientemente sensibili, limitati a godersi la purezza singola di alcune riprese od inquadrature, a volte, se non spesso, effettivamente potenti, evocative od emozionanti.
Con Rosi, insomma, c'è troppa libertà di interpretazione, e manca quel sentiero utile e necessario a non smarrire un percorso che definisca la materia, caratterizzandola come senz'altro merita.
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