Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film
Partiamo da un fatto risalente al maggio 2021: un contadino belga ha spostato accidentalmente un pietra. Sembrerebbe nulla di importante, solo che proprio quella pietra così fredda, così dura, così arida, in realtà segna da più di duecento anni il confine tra Francia e Belgio. Una semplice azione, quella del contadino, che ha reso più grande il Belgio e più piccola la Francia. Piccoli giochi di confine.
Con questo veloce Off topic come preambolo, si può adesso parlare di Notturno che inizia con una precisazione storica:
"Dopo il crollo dell'Impero ottomano e la fine della Prima guerra mondiale le potenze coloniali tracciano a tavolino i confini del Medio Oriente. Nei decenni successivi avidità e ambizioni di potere generano colpi di stato militari, regimi corrotti, leader autoritari e ingerenze straniere. La tirannia, le invasioni e il terrorismo si alimentano a vicenda in un circolo vizioso a danno delle popolazioni civili."
L'incipit scritto contiene in sintesi quella che sarà la narrazione del film. A più di cento anni da quella infelice risoluzione, la zona in questione rimane una delle più incerte e calde del pianeta. E dunque Rosi su quei confini lascito del colonialismo europeo si muove, viaggia, passa più volte, fino a mostrarci, con grande insistenza, ciò che realmente sono: lunghe distese di niente, deserti di vuoto. Verrebbe da chiedersi dove sono questi confini? Se non fosse per la presenza militare, non ci sarebbe nulla (forse una pietra) a marcare la separazione tra uno stato e l'altro. La natura, dopotutto, se ne frega.
Quello di Rosi è un viaggio in un inferno terrestre, un limbo nel quale vagano anime affrante. Non c'è nulla di chiaro, non sappiamo chi siano, ne cosa facciano. Si muovono tra i confini (spesso imbracciano un'arma), lontano dalla presenza militare. É una terra marchiata da dolori e sofferenze. Tutto ci arriva in maniera indiretta: i bambini sopravvissuti a Daesh che provano a raccontare quello che hanno visto e vissuto; una madre che piange nella cella-tomba del figlio, un'altra che piange ascoltando gli audio della figlia prigioniera. Non c'è più speranza. Non c'è quella patria che spesso viene citata; non sembra esserci nemmeno Dio, il cui canto risuona tra strade vuote e scure. Non c'è più niente. É una terra distrutta dall'Isis, ma non solo: come ci ricorda l'incipit, la questione è decisamente più complessa: ingerenze straniere e regimi corrotti e autoritari hanno praticamente devastato tutto
Ed è proprio questa complessità il punto debole dell'opera di Rosi, che non indaga, non va in profondità, si ferma al confine senza mai oltrepassarlo, accontentandosi di mostrare (e sul mostrare del film non sono mancate polemiche) quelle vite al confine.
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